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Commercio: la nuova mappa delle attività italiane

Pubblicato il settimo rapporto dell'Osservatorio sulla demografia d'impresa dell'Ufficio Studi di Confcommercio. In nove anni perse quasi 100mila imprese commerciali. I centri storici cambiano ma non si spopolano; nelle città d'arte più B&B che alberghi

Come cambia la demografia delle imprese italiane? Qual è stato l’impatto della pandemia sugli esercizi commerciali cittadini? Quali i trend di cambiamento principali degli ultimi dieci anni? A queste e altre domande ha cercato di rispondere la settima edizione dell’Osservatorio sulla demografia d’impresa dell’Ufficio Studi di Confcommercio, un’analisi sui cambiamenti del commercio e delle imprese nelle città italiane negli ultimi dieci anni, con particolare riguardo ai centri storici. Tutte le attività censite a oggi ammontano a 921mila, di queste 467mila riguardano il commercio al dettaglio in sede fissa. In nove anni, questo il primo dato significativo ma che non basta a spiegare le tendenze, sono scomparsi quasi 85 mila negozi fisici, di cui quasi 4.500 durante gli anni della pandemia. “Questi numeri – ricordano da Confcommercio – potrebbero essere peggiori nella realtà perché ristori e cassa integrazione hanno congelato la demografia; inoltre, è immaginabile qualche ritardo delle Camere di commercio nella pulizia dei registri”. Una quota di queste chiusure, inoltre, è dovuta a un processo di selezione e di efficienza che non implica una riduzione dei livelli di servizio. Tuttavia, una grossa parte delle chiusure è dovuta alla stagnazione dei consumi, ormai diventata di tipo strutturale e che affligge l’Italia da tanto tempo. Oggi i consumi, in termini reali, sono sotto i livelli del 1999 e lo stesso parametro pro capite si colloca sotto i valori del 1998. Se sommiamo le perdite di ambulanti a quelle del commercio in sede fissa in nove anni sono sparite quasi 100mila attività. 

Turismo: la crescita è finta? 

Crescono, invece, le attività legate al turismo e a sorpresa sono aumentate anche durante la pandemia. Su questo aspetto, lo studio si sofferma lungamente, presentando dati interessanti e soprattutto spiegazioni articolate che disegnano un nuovo scenario del commercio in Italia. Le attività teoricamente più colpite dalla crisi avrebbero dovuto essere quelle in qualche misura legate al turismo, cioè alberghi e pubblici esercizi. Eppure tra la fine del 2019 e la metà del 2021 la crescita di queste attività è stata pari all’1,7%, cioè circa 5.600 esercizi in più. Occorre fare la tara a questi numeri: “certamente – ragiona Confcommercio – ci sono problemi relativi alle cancellazioni effettive e d’ufficio, ci sono questioni relative al congelamento delle attività e all’attesa da parte degli imprenditori di capire se, anche grazie ai ristori, sarà possibile ripartire”. Anche guardando i livelli dei consumi si scopre che ristorazione e alberghi sono ancora distanti dall’epoca pre-Covid, con percentuali comprese tra il -20% e il -35%. 

Meno hotel, più B&B nelle città d’arte 

Tornando però al lato dello sviluppo, si vede bene che a crescere sono le strutture tipo B&B o appartamenti per soggiorni brevi, mentre gli alberghi veri e propri sono fermi. Se guardiamo alle città d’arte, le cancellazioni di strutture tradizionali superano le iscrizioni, determinando un saldo negativo dell’1,9%. Questo conferma il timore che nei centri storici delle città, soprattutto quelle più vocate al turismo, alla riduzione degli esercizi commerciali la pandemia ha unito anche un fenomeno “del tutto nuovo” della riduzione degli alberghi, favorendo una “crescita tumultuosa delle altre attività di alloggio”. Resta da capire, spiega l’associazione, la dinamica di bar e ristoranti. I bar appaiono in riduzione piuttosto netta negli ultimi due anni e in misura doppia nei centri storici delle città d’arte rispetto agli altri centri storici. 

Ristorazione: la rivoluzione dei tavolini all’aperto 

E poi c’è il capitolo ristorazione. In questo grande calderone l’Istat inserisce attività piuttosto eterogenee sotto il codice Ateco 51: dai ristoranti alle friggitorie ai take away ecc. Accanto ai locali con un vero e proprio servizio c’è anche tutta l’area dello street food. “È pertanto complesso stabilire i movimenti rilevanti che determinano questa strana crescita in tempi di pandemia”, dicono da Confcommercio. Ma proviamoci. La prima cosa da considerare è il cosiddetto effetto composizione determinato da uno spostamento tra sotto-codici Ateco all’interno degli aggregati: una quota dei bar si è trasformata in esercizi con somministrazione, a causa probabilmente della diffusione del permesso di allestire i tavolini all’aperto con maggiore facilità. Inoltre, una quota di ristorazione senza somministrazione, tipo take away, si è mossa nella stessa direzione: questo lo si vede indirettamente dall’incremento della quota di imprenditori stranieri nella ristorazione tradizionale che provengono proprio da ristorazione senza somministrazione. “È presto – precisa Confcommercio – e sarebbe comunque improprio parlare di una riduzione della qualità della ristorazione, soprattutto nei nostri centri storici, ma senz’altro è un tema da seguire da vicino, anche perché collegato alle criticità che variamente emergono sulla gestione della movida”. 

Offline e online: la torta dev’essere più grande 

Ultimo aspetto è la relazione tra commercio fisico e commercio on line. C’è quello che si definisce “un elevato grado di sostituibilità tra canali fisici e canale virtuale”, e tuttavia la riduzione del numero dei negozi ha, come detto, a che fare più con la stagnazione dei consumi e con un “naturale processo di ricerca di efficienza della distribuzione commerciale”, che comprendono omnicanalià, economie di scala, processi legati alla produttività. L’e-commerce, ricordano dall’associazione, ha aiutato e continua ad aiutare molti negozi a fare business meglio e in modo più innovativo, tuttavia la competizione tra canali fisici e online è destinata a intensificarsi anche in conseguenza della pandemia. “Unica soluzione per una prospera convivenza: la crescita economica, cioè l’incremento della torta, cosicché l’inevitabile divisione risulti soddisfacente per tutti”, conclude Confcommercio.