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Crisi d’impresa: -19% rispetto al 2019

Per contenere l’impatto sull’economia della pandemia di Covid-19, il Governo ha messo in atto nel 2020 una serie di misure statali di moratoria sui finanziamenti e di intervento a sostegno della liquidità. Questi interventi hanno evitato negli ultimi due anni la chiusura di molte imprese. I dati confermano tuttavia che la mortalità maggiore si è verificata nei settori più colpiti dalla sospensione delle attività

Nell’anno 2021, che ha segnato la ripresa dell’economia italiana (+6,6% secondo Istat) dopo la brusca frenata causata dalla pandemia di Covid-19, le chiusure di imprese sono aumentate rispetto al 2020 ma rimangono ancora molto più contenute se confrontate ai numeri del 2019. Nell’anno iniziale della pandemia, le misure economiche di sostegno alle imprese messe in atto dal Governo hanno evitato la chiusura di molte aziende, in alcuni casi rimandando temporaneamente destini già segnati. La ripartenza dell’economia nel 2021 ha poi ridato linfa a molti settori e alle relative attività, portando a molte di queste buoni risultati di crescita e ad altre la possibilità di riprendersi e rinforzarsi sulla base di partenza degli aiuti ricevuti nel 2020. La situazione economica e di mercato non si è comunque stabilizzata, complici fattori come l’inflazione, i costi delle materie prime e ora anche le incognite sullo sviluppo della guerra in Ucraina, e questo determina una crescente incertezza per l’andamento delle crisi d’impresa nell’anno in corso. 

Un’analisi sull’andamento delle chiusure di impresa è oggetto dell’Osservatorio Cerved, che ha analizzato i dati su fallimenti, procedure non fallimentari e liquidazioni volontarie per tutto il 2021. La prima osservazione che emerge riguarda il confronto tra lo scorso anno e i due precedenti, da cui si evidenza una netta crescita delle chiusure rispetto al 2020 ma un numero complessivo ridotto rispetto al 2019, anno precedente alla pandemia e quindi con un corso anagrafico delle chiusure che potremmo definire naturale.

Il ruolo fondamentale delle azioni pubbliche di sostegno economico

Lo scorso anno, infatti, i fallimenti hanno segnato un +17,9% rispetto al 2020, ma -19,2% sul 2019; per le procedure non fallimentari si registra un +12,8% sul ‘20 ma -19,9% sul ’19; mentre le liquidazioni volontarie hanno avuto un aumento più contenuto rispetto al ‘20, pari a +3,4%, ma un -19,9% sul 2019 che è in linea con le altre uscite. Se l’anomalia del 2020 è chiaramente riconducibile alle misure pubbliche di sostegno al credito, il rilevante contenimento delle chiusure rispetto al 2019 è attribuibile, secondo l’Osservatorio, alla proroga delle misure stesse. In numeri assoluti, il 2021 ha registrato circa 9mila fallimenti, 1200 procedure non fallimentari e quasi 65mila liquidazioni volontarie.

Un altro dato sottolinea come la crisi del 2020 non sia paragonabile per motivazioni ed esiti alle precedenti, cioè il fatto che nel 2021 si è registrato un aumento delle nascite di nuove aziende, diversamente da quanto era avvenuto in seguito alla crisi del 2007-08: rispetto al forte calo del 2020, lo scorso anno il dato delle nuove aperture ha mostrato un leggero picco, che lo ha riportato in linea con l’andamento degli anni precedenti.

I servizi più colpiti

Guardando ai settori produttivi, gli andamenti sopra descritti per il 2021 sono confermati in quasi tutti i comparti, con qualche variazione, anche significativa, nelle percentuali: rispetto al 2019 la riduzione dei fallimenti è minore per i servizi (-16,1%) mentre è più marca per l’industria (-29,1%) e le costruzioni (-20,7%). Nella comparazione con il 2020, invece, i fallimenti nei servizi sono aumentati del 22,6%, del 21% nelle costruzioni e del 2,5% nell’industria.

Sempre rispetto al 2019, sono solo 8 i settori che nel 2021 hanno registrato un aumento dei fallimenti: la cantieristica (+42,3%), la consulenza societaria (+14,0%), gli operatori logistici (+11,6%), i servizi sanitari (+11,5%), la manutenzione auto (+5,3%), il commercio al dettaglio di elettrodomestici e elettronica (+5%), le società di ingegneria (+3,4%) e la produzione di prodotti da forno e pasticceria (+3%).

Nelle liquidazioni volontarie spiccano i settori più colpiti dal Covid

Stando ai numeri, la grande maggioranza delle imprese che chiudono lo fanno con procedura di liquidazione volontaria: nel 2021 sono state 64.866, in aumento del 3,4% sul 2020 ma inferiori (-19,9%) rispetto all’anno pre-Covid 2019 e sostanzialmente in linea con i dati del 2002 e 2003. Anche in questo caso, la ragione dell’andamento positivo può dipendere in parte dalla proroga al 31 dicembre 2021 della moratoria sui prestiti e degli interventi statali a sostegno della liquidità delle imprese.

Guardando alla forma giuridica delle società liquidate, l’aumento del 2021 sul 2020, pari al 3,4%, è dovuto soprattutto al tasso registrato dalle società senza bilancio (+9,6%), compensato da quello molto ridotto delle società di persone (0,3%) e dal -3% delle società di capitali. Nel confronto con il 2019, invece, le liquidazioni delle società di capitali segnano -20,3%, le società senza bilancio -24,5% e le società di persone -24,8%.

Rispetto ai settori economici, nel 2021 quasi tutti i macrocomparti mostrano un numero di liquidazioni volontarie in calo rispetto al 2019: -25,6% nell’industria, -22,6% nei servizi e -23% nelle costruzioni. Tra i settori con un aumento delle liquidazioni spiccano le lavanderie industriali (+34,0%), le macchine utensili (+26,6%) e la produzione dei cereali (+24,1%), seguiti dai servizi idrici (+20,4%), dall’industria laniera (+8,4%), dai servizi immobiliari (+6,6%), dall’ingrosso di carburanti e combustibili (+4,1%) e dai prodotti da forno e pasticceria (+2,7%).