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Siccità e sprechi, ecco i dati della crisi idrica italiana

La situazione è di grave difficoltà: fra le cause, oltre alle condizioni climatiche sfavorevoli, ci sono anche le scarse risorse economiche per adeguare le reti, una politica poco lungimirante e una errata gestione pubblica dell’acqua

La crisi idrica in Italia sta raggiungendo livelli allarmanti. Lo confermano sia i dati emersi dal monitoraggio sul clima del Cnr, sia il recente monito dell’Ispra, che ha lanciato l’allarme sul progressivo inaridimento del 28% del suolo italiano. Secondo l’Istituto ambientale, le Regioni più colpite dalla desertificazione sono il Veneto, il Piemonte e l’Emilia Romagna. All’aggravarsi della siccità contribuiscono il forte calo delle precipitazioni, l’aumento delle temperature e, non ultima, la cattiva gestione del sistema idrico nazionale, a cui viene destinata solo un’esigua parte di spesa pubblica a fronte di perdite d’acqua ingenti e mai sanate.

Il 54% dei consumi in agricoltura

Quanto alle modalità d’impiego delle risorse idriche, la quota maggiore di acqua è utilizzata dall’agricoltura. Stando ai dati emersi da un recente studio prodotto da Confartigianato, “le attività per l’irrigazione dei terreni e la zootecnica prelevano 11,9 miliardi di metri cubi di acqua”. L’Associazione nazionale bonifiche irrigazioni miglioramenti fondiari in Italia (Anbi) ha rilasciato stime ancora più elevate: 14,4 miliardi di metri cubi consumati solo dall’agricoltura, ovvero il 54% dei consumi totali. Il consumo d’acqua è ingente anche per il raffreddamento degli impianti di produzione di energia elettrica. Qui il totale arriva a 18,5 miliardi di metri cubi, di cui l’88,1% proviene dal mare.

La sete dell’industria

L’alta necessità di acqua interessa quasi a tutto campo anche l’industria del manifatturiero. Dalla ricerca emerge come per ogni euro di prodotto finito e venduto si associ un determinato consumo di acqua. Nella classifica dei più “assetati”, il settore a cui viene riservato il primo posto è certamente l’estrattivo. Lo studio di Confartigianato stima infatti che soltanto in questo segmento vengano consumati almeno 21,7 litri di acqua per ciascun euro di produzione venduta. Seguono a ruota il settore tessile (20,9 l/euro), il petrolchimico (17,5 l/euro) e il farmaceutico (14,1 l/euro). Ma il dispendio di acqua interessa molto anche la produzione di gomma e materie plastiche (12,4 l/euro). Consumi simili si attestano per vetro, ceramica e cemento (11 l/euro), mentre fra i più parsimoniosi emergono il settore carta (10 l/euro) e quello dei metalli, dove per ogni euro di prodotto venduto si consumano 7,4 litri d’acqua. Complessivamente la media di acqua impiegata dal manifatturiero oscilla sui 12,1 litri per ogni euro di produzione venduta.

Dimezzata la produzione di energia idroelettrica

Anche la produzione idroelettrica è seriamente minata dalla crisi idrica, ed è inevitabile poiché l’arrestarsi delle piogge nei primi cinque mesi del 2022 ha ridotto sensibilmente la capacità operativa delle centrali. La siccità in sostanza blocca le turbine delle dighe fino a farle fermare completamente. Ne consegue così che vengano ridotte quote importanti di energia rinnovabile, tanto preziosa per raggiungere gli obiettivi green dell’Ue.
La percentuale di produzione di energia idroelettrica, sul totale dell’energia elettrica prodotta a livello nazionale, infatti si è quasi dimezzata, passando dal 16,7% dei primi cinque mesi del 2021 al 9,7% dello stesso periodo nel 2022. Fra i dati più allarmanti, espressi nella ricerca, va evidenziato inoltre il 39,7% di calo di produzione di energia idroelettrica, soltanto nei primi cinque mesi del 2022.

Una rete che fa acqua

La crisi idrica è da analizzare soprattutto sotto l’aspetto dello spreco della materia prima, che interessa trasversalmente tutto il territorio italiano. Le perdite di acqua dalla rete idrica si verificano un po’ ovunque. Lo studio cita almeno 26 città italiane dove più della metà di acqua viene letteralmente persa a causa delle falle nelle tubature. Nella blacklist delle città che sperperano di più troviamo Chieti con il 71,7% di acqua persa, Latina (70,1%) e Belluno (68,1%), ma la lista è molto lunga. La causa delle perdite è dovuta alle infrastrutture della rete idrica, vecchie e inefficienti, poco ripristinate per via di investimenti pubblici limitati, soprattutto al Sud. Un esempio virtuoso di gestione dell’acqua è offerto però dalle città di Milano, con “solo” il 13,5% di acqua persa dalla rete idrica e Pordenone (14,3%). Nel complesso, come evidenzia la ricerca il 36,2% di acqua immessa nella rete idrica italiana viene persa.

Quanto spende l’Italia per l’acqua

Limitare al massimo le perdite è una delle soluzioni per far fronte alla crisi idrica, tuttavia la spesa pubblica per la gestione dell’acqua si è ridotta nell’ultimo decennio del 32,9%, mentre al confronto nello stesso periodo in Germania cresceva del 30%. All’incirca ogni anno l’Italia spende un miliardo e mezzo di euro, ma guardando ai dati degli altri paesi dell’Unione europea, in media la spesa è tre volte superiore. Il paese insomma è molto indietro rispetto agli altri paesi dell’Ue, ma le soluzioni ci sarebbero. Per la riorganizzazione di un sistema idrico ormai al collasso, l’Italia pone molte speranze nel Pnrr, che metterebbe sul piatto più di quattro miliardi di euro da utilizzare per migliorare le infrastrutture idriche primarie, anche se i tecnici giudicano la cifra insufficiente. E i problemi non sono finiti. Un altro costo derivato dalla mala gestione dell’acqua, va visto nelle sanzioni “ambientali” di Bruxelles: infatti solo per quanto concerne l’infrazione Ue 2004/2034, l’Italia paga ben 60 milioni di euro annui.

Cirf, serve intervenire sul piano strategico per l’agricoltura

Il Cirf (Centro italiano per la riqualificazione fluviale) ha aperto il dibattito su quali siano le priorità per mettere la parola fine alla crisi idrica. Secondo il Cirf le soluzioni vanno viste in primis nell’urgenza di ricostruire, all’insegna di una reale sostenibilità, il ciclo di produzione in agricoltura. La sostenibilità passa infatti anche dall’implementazione di coltivazioni a minor consumo d’acqua, le quali spesso vengono sottovalutate dagli agricoltori ma che permetterebbero in maniera rapida una diminuzione dei consumi. A questo proposito, il Cirf punta il dito sul piano strategico nazionale della politica agricola comune, ritenendolo poco efficace proprio in tema di sostenibilità. Sul piano strategico si è espressa negativamente anche l’Unione europea, contestandone gli obiettivi ambientali insufficienti anche per quanto concerne le linee indicate dal piano sulla gestione dell’acqua in agricoltura.
Purtroppo, notano i tecnici del Cirf, l’agricoltura intensiva e la eccessiva pavimentazione delle città ostacolano il necessario processo naturale di permeabilità del suolo e lo spontaneo riempimento delle falde acquifere.
Con il prolungarsi della siccità, inoltre, lo stoccaggio di acqua è diventato un tema dominante per affrontare la crisi idrica nei periodi estivi. Il Cirf contesta anche la politica di costruzione di nuovi invasi, evidenziando che “l’acqua negli invasi può raggiungere temperature elevate, con formazioni di condizioni anossiche, fioriture algali e sviluppo di cianotossine”: tutti elementi che provocano rischi e perdite di un bene comune come l’acqua.