Quando la giustizia si trasforma in macchina del dolore
L’Inganno di Alessandro Barbano è un attacco frontale al giustizialismo, dove viene smascherata una magistratura sempre più autoritaria che, con metodi spregiudicati, è riuscita a far divenire l’eccezione la regola, dove la libertà può essere sacrificata nel nome della lotta al crimine. Di questo si nutre oggi l’Antimafia secondo l’autore, una perpetua situazione emergenziale in cui attuare leggi speciali ad hoc, un procedimento che da eccezione diventa la normalità, costituendo la giustificazione per scardinare pian piano lo stato di diritto e “mettere l’intera società sotto tutela giudiziaria”. Sequestri e confische preventive, sentenze che anticipano leggi, centinaia di cittadini arrestati e processati sommariamente, le cui vite vengono cambiate da quel sistema “che tutti in Europa ci invidiano”, ma che nessun’altro applica.
Barbano passa al setaccio un sistema, quello creato dall’Antimafia, divenuto invasivo e dispotico, che nessuno può sottoporre a un giudizio di legalità o di merito perché troppo saldamente compenetrato nel tessuto burocratico, giudiziario e politico dello Stato e, oltre a ciò, è riuscito a creare l’ambiente perfetto dove sopravvivere: far passare l’emergenza come un dogma. Ed è così che il Codice antimafia calpesta due principi fondamentali: il principio di non colpevolezza e la protezione dell’innocente, traducendo quelle che definisce “misure di prevenzione” in vere e proprie sanzioni. Nella postura morale dell’Antimafia ciò che domina quindi è il pregiudizio: mafioso, corrotto e innocente vengono messi nel medesimo calderone, il sospetto è elevato a prova, in quella che viene definita come una vera e propria “persecuzione giudiziaria”.
Nel libro edito da Marsilio si passano al setaccio casi di vita vera, come quello della famiglia Cavallotti, dal quale emerge la doppia anima dello Stato: quella legata al processo penale che li scagiona e quella del processo di prevenzione con il relativo procedimento di confisca dei beni, che li punisce per mettere successivamente le mani, in maniera predatoria, su interessi economici giganteschi, scoprendo una magistratura che gestisce centinaia di attività commerciali. La legge viene continuamente scavalcata dall’intento moralistico e così anche il processo perde la sua natura garantista. L’autore evidenzia come il diaframma di indipendenza tra chi giudica e chi formula le accuse sia del tutto saltato facendo diventare la terzietà del giudice qualcosa di meramente fittizio.
Un sistema che “tutti in Europa ci invidiano”, ma che nessuno applica
L’anomalia italiana
Nel libro, scritto in maniera dritta e cruda, si punta il dito anche contro un mostro sacro come l’associazione Libera di Don Ciotti, rea di essere strumento monopolistico e politicizzato di gestione dei beni estirpati alla mafia. Non fa sconti, Barbano, nel ricercare l’inganno, da cui il suo libro prende il nome, che si rinnova in quel paradigma dell’emergenza entro il quale si innesta il potere del Codice antimafia, “una pistola puntata contro la democrazia”, che utilizza l’emergenza mafiosa come garanzia di impunità di fronte alle corti internazionali. Per togliere lo Stato dalla tutela giudiziaria è necessario estirpare quell’anima illiberale che caratterizza la magistratura, che in nome di una perpetua emergenza si erge a giudice sommario, dove solo il sospetto divide il lecito dall’illecito.
Barbano passa al setaccio un sistema, quello creato dall’Antimafia, divenuto invasivo e dispotico