La rivoluzione industriale di Emmanuel Macron
I primi sei mesi del 2023, in Francia, sono stati vissuti pericolosamente. A vari livelli, economico, sociale, istituzionale, la Francia vive tutte le sue contraddizioni e ambiguità: quelli di un Paese che ha per sua natura la vocazione all’eccellenza, ma che fa fatica a tenere in equilibrio rigore dei conti pubblici, investimenti, transizione energetica, crisi climatica e giustizia sociale. Dopo i primi cinque mesi caratterizzati dal fortissimo scontro sulla riforma delle pensioni, delle cui proteste si è parlato anche in Italia, il presidente della Repubblica Emmanuel Macron e il suo Governo, presieduto dalla prima ministra Elisabeth Borne, stanno cercando di voltare pagina e rilanciare l’azione politica sui grandi temi: l’economia, la sostenibilità, il mercato del lavoro, la lotta all’inflazione. Sebbene l’economia francese stia dando segnali confortanti, che vedremo, permane nella società un’inquietudine, un disagio, un senso di declassamento, che hanno trovato la scintilla in occasione della riforma delle pensioni ma che hanno poi coinvolto più livelli della vita pubblica, fino a mettere in dubbio la solidità del modello costituzionale della quinta Repubblica, così come pensato dal generale Charles de Gaulle, nel 1958. Un sistema semipresidenziale che risolveva le debolezze del regime parlamentare precedente (quarta Repubblica), delegando verticalmente il potere esecutivo. Un editoriale di Le Monde si chiedeva proprio: se la Francia non fosse, forse, di fronte all’esaurimento di quel modello tecnocratico, fatto da “un’élite illuminata che governa negoziando con la società civile”.
La contestatissima riforma delle pensioni
Sembra presto per capire se sarà davvero così, certo che la riforma delle pensioni è stato il più importante evento politico, parlamentare e sociale degli ultimi dieci anni, in Francia. La legge, nella sua parte più contestata, innalza l’età pensionabile a 64 anni dai 62 attuali, ed è stata approvata dopo un iter accelerato e alcuni escamotage costituzionali che permettono al Governo di far approvare determinate leggi senza passare per un voto parlamentare. Il più noto e contestato di questi meccanismi è il ricorso all’articolo 49.3 della Costituzione, che testualmente recita: “Il primo ministro può, dietro deliberazione del Consiglio dei ministri, impegnare la responsabilità del governo dinanzi all’Assemblea Nazionale (la Camera dei deputati, ndr) sul voto di un progetto di legge finanziaria o di finanziamento della previdenza sociale. In tal caso, detto progetto è considerato adottato, salvo il caso in cui una mozione di sfiducia, presentata nel termine di ventiquattro ore, sia votata”.
In questa vicenda, però, non è stato tanto il ricorso all’articolo 49.3 a far precipitare le cose, quanto il suo utilizzo continuativo (l’undicesima volta in meno di nove mesi), e la percezione che ci sia stato un deragliamento della democrazia parlamentare.
Un voto contro Marine Le Pen
Il ricorso a questi modi di legiferare (costituzionali, ma poco popolari) è figlio di un problema specifico: il Governo non ha la maggioranza assoluta in Parlamento, ma solo relativa. In Francia, a differenza che in Italia, questo è possibile perché all’Esecutivo per insediarsi non serve un voto di fiducia; ma ciò vuol dire che ogni proposta di legge deve guadagnarsi una maggioranza in Parlamento.
Il secondo quinquennio di Macron, iniziato nel maggio del 2022, è nato da una sorta di patto abbastanza esplicito: la maggioranza dei francesi ha votato il presidente uscente per impedire all’estrema destra di Marine Le Pen di occupare l’Eliseo. Il grado di fiducia e di apprezzamento della politica macronista era, ed è, molto inferiore a quello del primo quinquennio (2017-2022). Macron, questa cosa, la sapeva, l’ha anche ammessa pubblicamente in occasione del suo discorso di rielezione, il 24 aprile scorso: “so che molti dei nostri compatrioti – aveva detto – oggi hanno votato per me non per sostenere le mie idee ma per bloccare l’estrema destra. E voglio dire loro che sono consapevole che questo voto mi vincola per gli anni a venire. Sono custode del loro senso del dovere, del loro attaccamento alla Repubblica e del rispetto per le differenze che si sono manifestate in queste settimane”.
Un difficile isolamento politico
E quindi, quando il presidente, nei mesi scorsi, aveva sostenuto che la riforma delle pensioni era scritta nel suo programma e che i francesi, votando lui in maniera maggioritaria, l’hanno sottoscritto quel programma, e perciò lui ha la legittimità democratica per applicare quella riforma anche facendo ricorso agli strumenti più estremi che gli mette a disposizione la Costituzione, diceva qualcosa di non vero, o meglio di una verità solo parziale.
La riprova del fatto che Macron non ha dalla sua parte la maggioranza del Paese erano state proprio le elezioni legislative del giugno scorso, quando il suo blocco centrista non ottenne la maggioranza dei seggi. Questa circostanza l’ha costretto, in questi mesi, a chiedere voti a destra e a sinistra (soprattutto a destra) per far passare le proprie leggi, cosa che, in realtà, gli è anche riuscita in molti casi: Elisabeth Borne era stata scelta proprio per la sua capacità di mediazione e di ascolto.
Ma di fronte a una riforma così contestata, così divisiva, l’essere arrivati a dover utilizzare l’articolo 49.3 è il segnale di un isolamento politico da cui sarà difficile uscire.
Equilibrio dei conti e declassamento del debito
La riforma è stata presentata da subito centrale per il quinquennio di Macron. L’obiettivo è tenere il sistema in equilibrio attraverso il risparmio di 17,7 miliardi di euro entro il 2030. Il Governo non ha mai mollato, richiamando da un lato ai valori repubblicani, allo sforzo di condivisione, all’unità della società francese, alla solidarietà generazionale, alla protezione di un sistema di sicurezza sociale sostanzialmente unico al mondo; dall’altro, il ministro dei conti pubblici Gabriel Attal ha fatto leva sullo spettro del crollo del sistema e quindi sulla prospettiva di una riforma molto più dura tra qualche anno: una riforma modello Fornero, potremmo dire noi, da questa parte delle Alpi.
All’indomani della soffertissima vicenda delle pensioni, che resta una ferita aperta, è arrivato anche lo schiaffo di Ficth: l’agenzia ha declassato il debito francese (da AA ad AA-), ignorando i benefici proprio di quella riforma che avrebbe dovuto mettere in sicurezza le finanze della République. Fitch ha sottolineato il rischio che le tensioni sociali possano pesare sul piano di riforme future, ma ha riconosciuto la forza dell’economia del Paese, la stabilità delle sue istituzioni e il miglioramento del mercato del lavoro.
Lavoro: verso la piena occupazione
Ed è proprio su quest’ultimo aspetto, il lavoro unito a un ambizioso piano sulla reindustrializzazione della Francia, che Macron e il suo Governo puntano per superare l’impasse delle pensioni e, soprattutto, mettere il turbo alla crescita francese.
Il tasso di disoccupazione in Francia è al livello più basso dal 1982: il numero di persone in cerca di lavoro si è attestato a 2,2 milioni nel primo trimestre del 2023, secondo l’Insee, l’istituto di statistiche (il corrispettivo dell’Istat). Con un tasso del 7,1%, la disoccupazione rimane stabile ma con ulteriori prospettive di diminuzione, compatibili con l’obiettivo del Governo, che punta alla piena occupazione (cioè il 5% di inattivi) entro la fine del quinquennio, il 2027. “Continueremo a lottare per la piena occupazione attraverso la formazione, l’apprendistato, il sostegno all’economia e un maggiore supporto ai più vulnerabili”, ha commentato il ministro del Lavoro, Olivier Dussopt, una volta appresi di dati.
L’altro dato, quello della crescita, tuttavia, resta debole con lo 0,2% di progressione del Pil nei primi tre mesi.
In democrazia non si vince contro il Paese, altrimenti si perde
La politique de l’offre
In questo contesto, Macron sta tessendo una contro-narrativa che, occorre dirlo, ha delle solide basi. È il racconto, quello del presidente, di un ritrovato dinamismo dell’economia francese, della sua reindustrializzazione e della sua attrattiva sulla scena internazionale, nonostante il clima sociale ancora teso e gli effetti dell’inflazione. Il presidente continua a difendere l’efficacia della politique de l’offre, cioè la politica, portata avanti dal 2017, di riduzione delle tasse sulle imprese, che ha condotto a circa 30 miliardi di euro di tagli a favore del mondo produttivo e che è alla base del processo di reindustrializzazione del Paese, insieme a nuovi massicci investimenti esteri. La politica economica della macronie (il modo con cui è definito l’impianto ideologico, il progetto politico e il metodo di governo della presidenza di Emmanuel Macron), dal 2017 a oggi, ha portato a un’inversione di tendenza dell’occupazione nel settore industriale, tornata a crescere con un saldo positivo di 90mila posti di lavoro creati, “contro i due milioni persi negli ultimi quarant’anni di precedenti politiche industriali”, ricorda a più riprese l’Eliseo.
Guardare le cose in prospettiva
France 2030, il piano di investimenti da 52 miliardi di euro annunciato da Macron nell’autunno scorso a favore dell’industria, procede a tappe spedite, con 13 miliardi già investiti e 20 che lo saranno entro la fine dell’anno. A livello energetico, uno dei settori chiave, i consiglieri del presidente prevedono che la Francia sarà autosufficiente nella produzione di batterie elettriche, entro il 2027.
“C’è il desiderio di iniziare a mettere in prospettiva i primi sei anni di Emmanuel Macron all’Eliseo, di fronte a una forma di ingratitudine pubblica che si manifesta quando, non appena un problema è risolto, lo si dimentica”, ha spiegato a Le Monde, Jérôme Fourquet, direttore del dipartimento di strategie aziendali dell’Ifop, l’istituto francese di studi di marketing. Un modo per dimostrare che anche se la riforma delle pensioni è stata uno scoglio difficile, ci sono risultati su temi importanti, come il calo della disoccupazione o le politiche industriali, e che Macron “non serve solo la Francia dei ricchi”.
Lo sbarco di Macron a Dunkerque
In questo senso, l’incarnazione dei progetti presidenziali è la regione dell’Alta Francia che punta a essere un ricco polo industriale e si avvia a diventare “la valle europea della batteria elettrica”. A fine maggio, Macron è sbarcato a Dunkerque per ufficializzare la costituzione della gigafactory (fabbrica gigante) del produttore taiwanese di batterie per auto elettriche, ProLogium. Un investimento da 5,2 miliardi di euro che dovrebbe creare circa 3.000 posti di lavoro. Il gruppo spera di avviare la produzione entro la fine del 2026 e di favorire un indotto di 12mila occupati sul territorio. “Rimettiamo il turbo al bacino di Dunkerque, che nell’industria ha perso 6.000 posti di lavoro in vent’anni, ricreandone 16mila entro il 2030”, ha detto il presidente. All’arrivo di ProLogium si affianca una joint venture da 1,5 miliardi di euro tra la cinese Xtc e la francese Orano, per produrre materiali per batterie al litio, con la creazione di 1.700 posti di lavoro.
Il triangolo industriale delle batterie elettriche
Le località di Dunkerque, Douai e Douvrin-Billy-Berclau sono i vertici del nuovo triangolo industriale della batteria elettrica in Alta Francia. A Douvrin-Billy-Berclau, Automotive Cells Company, una società gestita da Stellantis, TotalEnergies e Mercedes, è il progetto più avanzato e punta a una produzione di 40 Gwh all’anno a regime (2030), sufficienti a equipaggiare più di 500mila auto elettriche, con la creazione tra i 1.000 e i 2.000 posti di lavoro. Inaugurato il 30 maggio, le prime batterie lasceranno lo stabilimento a settembre. La sino-giapponese Envision è a Douai, accanto allo stabilimento Renault e inizialmente fornirà le batterie proprio al marchio automobilistico e prevede un minimo di 1.000 nuovi posti di lavoro. Verkor è invece un’azienda totalmente francese, sempre di batterie elettriche, e prevede di aver bisogno di 1.500 dipendenti per il suo impianto che sorgerà nella zona del porto di Dunkerque. Nel 2025 produrrà 16 Gwh (300mila auto elettriche), poi 50 Gwh nel 2030 (un milione di auto): l’investimento della start-up di Grenoble, nata nel 2020, è stato di 500 milioni di euro.
Ma chi è, davvero, il presidente?
A un anno dalla sua rielezione, Macron potrebbe stare sicuramente meglio, ma avrebbe potuto anche andargli peggio: non è ancora chiaro se la sua strategia durante la battaglia sulle pensioni abbia distrutto per sempre la sua immagine. “Non mollare, questo è il mio motto”, ha detto a Parigi visitando il cantiere della ricostruzione di Notre Dame, devastata da un incendio, come tutti ricordiamo, nel 2019. Sembra presto per capire se sarà davvero così e comunque i suoi avversari (e qualche suo alleato) non la pensano come lui. “In democrazia non si vince contro il Paese, altrimenti si perde”, ha ricordato il presidente dei deputati socialisti (sinistra) all’Assemblea Nazionale, Boris Vallaud; mentre Bruno Retailleau, capogruppo al senato dei Repubblicani (destra) si è lanciato in un’analisi socio-esistenziale: “in fondo – ha detto – i francesi ancora non sanno chi sia veramente il signor Macron, e questa è forse una delle molle profonde di questa crisi, perché questa insicurezza politica e democratica decuplica le insicurezze economiche e sociali”.
INVESTIMENTI ESTERI: L’ESAGONO IN TESTA ALL’EUROPA
Per il quarto anno consecutivo, la Francia guida la classifica europea dell’attrattività degli investimenti stranieri. Nel 2022, il barometro annuale realizzato da EY ha individuato 1.259 nuovi progetti sul territorio dell’Hexagone, in aumento del 3% rispetto al 2021. Questo primato è tutt’altro che aneddotico visto il peso delle imprese a capitale straniero nell’economia francese, circa 16.800, che danno lavoro a 2,2 milioni di persone, cioè il 13% dell’occupazione dipendente, e contribuiscono per circa il 20% del Pil, il 25% del settore ricerca e sviluppo e il 35% delle esportazioni industriali.
Forte (anche) di questi risultati, il 15 maggio scorso a Versailles, Emmanuel Macron ha tenuto la sesta edizione di Choose France, definita “la grande messa degli investimenti stranieri”, celebrando così “un’annata senza precedenti dalla sua creazione, nel 2018”. Il vertice degli investitori esteri ha dato modo a Macron di annunciare nuove iniziative e risultati: 28 tra nuovi stabilimenti e ampliamenti di siti industriali per un totale di 13 miliardi di euro solo nel 2023, battendo così il record dei 10,6 miliardi del 2022, e ben 10 miliardi in più del 2021 (3,6 miliardi). Questi investimenti si tradurranno, nelle previsioni dell’Eliseo, in 8.000 nuovi posti di lavoro diretti, in particolare nelle città di medie dimensioni.
E c’è anche un po’ d’Italia: la start-up italiana Newcleo, creata nel 2021 dal fisico torinese Stefano Buono, è pronta a investire tre miliardi tra il 2023 e il 2030 per sviluppare in Francia reattori nucleari modulari di bassa o media potenza (fino a 300 megawatt). Sostenuta dal piano France 2030, Newcleo sta lavorando con le istituzioni francesi (il Commissariato per l’energia atomica e le energie alternative) e con le società (parastatali) Edf e Framatome.