Neurotecnologie, non solo Neuralink
Lo scorso 29 gennaio Elon Musk ha annunciato l’installazione del primo impianto cerebrale di Neuralink su un essere umano. Il paziente “si sta riprendendo bene”, ha esordito l’imprenditore statunitense nella serie di tre post su X con cui ha dato notizia del traguardo raggiunto dalla società specializzata in neurotecnologie e, più nello specifico, nello sviluppo di interfacce neurali che Musk ha fondato nel 2016. “I risultati iniziali – ha aggiunto – mostrano un promettente rilevamento di picchi neuronali”. Poi nient’altro, se non qualche piccolo dettaglio sull’offerta commerciale della società. “Il primo prodotto di Neuralink si chiama Telepathy” e, ha scritto Musk, consente di “controllare il proprio cellulare o il proprio computer, e di conseguenza anche quasi tutti gli altri dispositivi, semplicemente con il pensiero”.
Sono bastati appena tre post da meno di 280 caratteri l’uno per suscitare un gran clamore in tutto il mondo. Molto rumore per nulla, verrebbe quasi da dire vedendo le alzate di spalle con cui l’annuncio è stato invece accolto dalla comunità scientifica. Anche perché, come osserva Simone Rossi, professore associato di Neurologia dell’università di Siena e direttore del Brain Investigation & Neuromodulation Lab dell’ateneo, “per ora non c’è molto da commentare”. A fine marzo, dunque a due mesi dall’annuncio di Musk, il progetto di Neuralink non è stato ancora pubblicato su nessuna rivista scientifica che preveda una qualche forma di revisione fra pari. “Al momento stiamo commentando soltanto le parole di un imprenditore”, afferma Rossi. “Paradossalmente, per quel che ne sappiamo – prosegue – non possiamo neppure avere la certezza scientifica che l’impianto sia stato davvero installato”.
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Vent’anni fa il primo impianto
Qualche dettaglio in più è emerso con un video pubblicato lo scorso 20 marzo sul profilo X di Neuralink. In poco più di nove minuti di filmato, è possibile vedere il paziente della società, Noland Arbaugh, un cittadino statunitense di 29 anni rimasto tetraplegico nel 2016 a seguito di un tuffo in un lago, mentre muove il cursore di un mouse e gioca a scacchi. “Posto che anche in questo caso l’annuncio non è stato accompagnato dalla pubblicazione dello studio su una qualche rivista scientifica, l’unica novità di rilievo che possiamo osservare è l’utilizzo della tecnologia wireless: ricordo – osserva Rossi – che nel 2004 ebbi la possibilità di assistere a una dimostrazione in un laboratorio di Monaco di Baviera in cui una donna riusciva a muovere un braccio robotico grazie a un impianto cerebrale che però, in questo caso, funzionava con una serie di fili che le erano stati installati nel cranio”. Già, perché le interfacce neurali non sono nate con Neuralink.
Il primo impianto di questo genere è stato realizzato nel 2004, ossia vent’anni fa: Matthew Nagle, il paziente zero dell’intera disciplina, era in grado navigare su internet, aprire e leggere un’e-mail, regolare il volume del televisore e persino giocare (e vincere) una partita a Pong. Da allora di strada ne è stata fatta parecchia. Nel 2019, per esempio, i ricercatori dell’istituto Clinatec di Grenoble hanno presentato un impianto cerebrale collegato a un esoscheletro installato sul corpo del paziente e più recentemente, nel 2023, l’olandese Onward ha sviluppato un dispositivo che stimola il midollo spinale per consentire a persone tetraplegiche di riacquisire una parziale mobilità.
Un ambito di ricerca molto vasto
Bastano pochi esempi per comprendere che il settore delle neurotecnologie non inizia e finisce con Neuralink. “Stiamo parlando di un ambito di ricerca particolarmente ampio, che combina neuroscienze e ingegneria per raggiungere una molteplicità di obiettivi diversi: la comunicazione fra essere umano e computer, ma anche lo sviluppo di soluzioni che possano consentire il trattamento di patologie neurologiche e psichiatriche”, spiega Rossi. Quello delle interfacce neurali è dunque soltanto uno dei possibili filoni di ricerca. “Ci sono studi su dispositivi di stimolazione cerebrale basati sull’impianto di elettrodi nel cervello, tecnologie indossabili per il monitoraggio di determinate variabili neurologiche e – aggiunge – farmaci che hanno già dimostrato di poter migliorare l’efficacia dei trattamenti e ridurre gli eventuali effetti collaterali”.
Il laboratorio diretto da Rossi si concentra soprattutto sullo sviluppo di applicazioni cliniche per il trattamento di determinate malattie e, anche grazie a una consolidata collaborazione con la facoltà di Ingegneria dell’università di Siena, e in particolare con il professor Domenico Prattichizzo, sulla realizzazione di device di robotica indossabile, la cosiddetta soft robotics, per migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da lesioni del sistema cerebrale e nervoso. Tutti i risultati raggiunti dal laboratorio sono stati raccolti nel volume Il corpo artificiale. Neuroscienze e robot da indossare, pubblicato recentemente da Raffello Cortina Editore e selezionato nella cinquina finalista del premio Libro dell’anno sull’innovazione nell’ambito del Galileo Festival della scienza e dell’innovazione. “Abbiamo, per esempio, brevettato un dito aggiuntivo, un sesto dito robotico, che aiuta a recuperare la presa in pazienti che abbiano subito una paralisi da lesione a livello cerebrale o spinale; abbiamo sviluppato dispositivi indossabili che migliorano la capacità di camminare in persone affette da malattia di Parkinson e abbiamo realizzato device vibranti che aiutano a risolvere il problema dell’acufene cronico”, illustra Rossi. A tutto ciò si aggiunge poi, chiaramente, anche la più stretta attività di ricerca sul funzionamento del nostro cervello, resa possibile anche grazie a tecniche di indagine avanzata come stimolazione cerebrale, elettroencefalografia ad alta definizione e risonanza magnetica funzionale.
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Alla ricerca di nuove risorse
Il laboratorio di Rossi è soltanto uno dei centri di ricerca che in Italia si occupano di neurotecnologie. Tanto per citare un altro caso famoso, il lavoro condotto da Silvestro Micera, professore ordinario di Bioingegneria presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, si concentra sullo sviluppo di neuroprotesi basate su interfacce impiantabili sul sistema nervoso centrale e periferico per consentire alle persone disabili di recuperare almeno parte delle proprie funzioni sensoriali e motorie. Attività che si sommano al lavoro sempre più vivace di aziende private che fanno ricerca e sviluppo nel settore delle neurotecnologie nel nostro paese.
“La ricerca italiana in questo settore è messa benissimo: possiamo senza dubbio dire che siamo nella top 5 a livello mondiale”, afferma Rossi. “Se poi rapportassimo la produzione scientifica all’entità dei finanziamenti che i ricercatori italiani hanno a disposizione, allora saliremmo nettamente in testa alla classifica: i fondi per la ricerca nel nostro paese – aggiunge – sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli che ricevono i nostri colleghi negli Stati Uniti, in Cina, in Giappone e in Germania”.
Una buona operazione di marketing
Secondo Rossi, quello che serve adesso è “un deciso incremento degli investimenti finanziari nella ricerca in Italia”. E chissà che un aiuto inaspettato non possa arrivare proprio dall’attività di Neuralink. “L’annuncio di Elon Musk si configura innanzitutto come un’efficace strategia di marketing: come abbiamo visto, non è il primo impianto cerebrale che viene realizzato, eppure – sottolinea Rossi – ne stanno parlando tutti”. La stessa cosa è avvenuta con la pubblicazione del video e poi, più recentemente, con quello che Musk ha definito il primo post in assoluto realizzato semplicemente pensando, attraverso Telepathy di Neuralink.
Il risultato è che negli ultimi mesi è aumentata parecchio l’attenzione riservata al settore delle neurotecnologie. E chissà che magari, sulla scia di questo dibattito, non possano aumentare anche gli investimenti in ricerca. “Sarebbe senza dubbio auspicabile, anche se è un po’ triste che si debba fare affidamento su quella che, a conti fatti, è per ora soltanto una campagna pubblicitaria”, osserva Rossi. “Il progetto annunciato da Elon Musk è offrire, al prezzo di 40mila dollari, un’interfaccia neurale che possa consentire alle persone di proteggersi dagli sviluppi dell’intelligenza artificiale: onestamente – conclude – preferirei che tutti questi fondi venissero utilizzati per curare malattie, non per trasformare gli essere umani in cyborg e alimentare scenari da fantascienza”.