Quando la finzione diventa social
Il mondo dello spettacolo fa tremare Banca d’Italia. Personaggi noti, come Elisabetta Canalis, Chiara Ferragni, Alessia Marcuzzi e Gianluca Vacchi, tutti ospiti di qualche noto salotto televisivo, hanno rivelato in diretta una serie di informazioni finanziarie che, secondo quanto ricostruito da una testata autorevole come La Repubblica e rilanciato a più riprese su Facebook, “potrebbero scuotere le fondamenta della società italiana”. Il conduttore, Alessandro Cattelan o Fabio Fazio a seconda del programma, ha definito “irresponsabile” il comportamento del suo ospite. L’istituto di Via Nazionale ha annunciato querele. Le autorità hanno interrotto la diretta, ma ormai è “troppo tardi”: l’ospite ha già raccontato tutto. Basta cliccare sul link per leggere e scoprire le sue rivelazioni.
Sembra strano, vero? Forse perché è davvero strano. Quasi troppo strano per essere vero. E tutto si è rivelato presto una balla. Anzi, come si dice oggi, una fake news. Qualcuno l’ha ribattezzata “la fake news dei vip”. Nessuna diretta televisiva interrotta dalle autorità, nessuna rivelazione finanziaria, nessuna minaccia alle fondamenta della società italiana: alla fine tutto si è ridotto alla semplice promozione dell’ennesima piattaforma di trading in criptovalute, un portale di investimenti in bitcoin e affini in cui, come strilla il sito web, “se investi almeno 250 euro adesso, in quattro settimane si trasformeranno in 6000 o anche 7000 euro”. A restare bassi, calcolatrice alla mano, fa un rendimento mensile del 2.400%. Anche in questo caso, troppo strano (e troppo bello) per essere vero. “Questa fake news è apparsa per la prima volta su Facebook nel dicembre dello scorso anno: il post circola ancora liberamente con forme e personaggi differenti e moltissimi utenti, purtroppo, continuano a cascarci”, osserva Giuseppe Riva, professore ordinario di Psicologia generale e docente di Psicologia della comunicazione presso l’università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano, e direttore di Humane Tecnology Lab (HTLab), il laboratorio dell’ateneo che investiga il rapporto tra esperienza umana e tecnologia.
La fake news perfetta
A ben guardare, erano tanti gli elementi che potevano generare più di qualche sospetto. Innanzitutto, la scelta degli inconsapevoli testimonial, tutti volti noti del mondo dello spettacolo e dei social network, celebrità e influencer del web, ma nessuna autorità riconosciuta in materia di finanza e investimenti. Poi, le caratteristiche dei profili che hanno rilanciato il post su Facebook, sempre scritto in un italiano perfetto e pubblicato (chissà come, chissà perché) sulle pagine social di utenti come il politico brasiliano Marcio Victor o l’imprenditrice statunitense Lola Savage. A seguire, l’url raggiungibile cliccando sul link messo a corredo della notizia, all’apparenza del tutto simile a quello de La Repubblica ma poi, a uno sguardo più attento, completamente diverso da quello del sito web del quotidiano diretto da Maurizio Molinari. Infine, i toni carichi di rabbia e indignazione, nonché la semplice constatazione che su nessun’altra fonte di informazione si parlasse di clamorose rivelazioni finanziarie. Eppure, nonostante tutto, la fake news è circolata moltissimo negli ultimi mesi.
“Una fake news deve soddisfare tre criteri: deve essere personalizzata, deve essere credibile e deve saper suscitare una risposta emotiva che incentivi la mobilitazione dell’utente”, afferma Riva. Se le cose stanno così, allora forse siamo di fronte alla fake news perfetta. L’elemento di personalizzazione è dato dall’utilizzo di personaggi ben conosciuti del mondo dello spettacolo come Elisabetta Canalis e Alessia Marcuzzi, capaci di attirare l’attenzione di quel pubblico di millennial, gen X e boomer che popola la piattaforma di Facebook. Il ricorso a una testata giornalistica autorevole e l’ambientazione tipica dei salotti televisivi hanno garantito una certa aura di credibilità. E infine la presunta censura delle autorità ha potuto suscitare quella reazione emotiva che ha spinto moltissimi utenti a cliccare sul link.
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Dalle bufale alla post-verità
Il primo caso storicamente documentato di notizia falsa risale all’antica Grecia. Secondo quanto riportato da Tucidide, il re spartano Pausania avrebbe scritto una lettera all’imperatore persiano Serse per liberare alcuni prigionieri, chiedere in sposa sua figlia e offrire l’intera Grecia al dominio di Persepoli: dopo la diffusione della missiva, Pausania fu condannato a morte per alto tradimento.
Da allora le cose sono cambiate parecchio. “Il caso della falsa lettera di Pausania può essere ancora ricondotto all’ambito delle semplici bufale, adesso siamo in un territorio completamente diverso: quello delle fake news”, afferma Riva. “Il cambiamento si è avuto con l’avvento dei social network e, più nel dettaglio, con la possibilità di adattare il contenuto del messaggio al pubblico di riferimento: a differenza di una bufala – spiega – una fake news è sempre personalizzata”. Così facendo, prosegue Riva, “è possibile modulare il messaggio a seconda delle caratteristiche del pubblico, toccare corde che possono favorire una reazione emotiva nell’utente e, di conseguenza, innescare una qualche forma di mobilitazione”. Il risultato, per utilizzare una fortunata formula degli ultimi anni, è un decadimento in uno scenario di post-verità in cui si fa sempre più fatica a distinguere il vero dal falso. “La situazione è ulteriormente peggiorata con l’avvento di software di intelligenza artificiale in grado di generare immagini e video credibili: ci sono sempre meno evidenze che possono consentirci di distinguere con sicurezza la realtà dalla finzione”, osserva Riva (sullo stesso argomento, vedi l’articolo a pag. 36).
Tutti dentro al proprio silos sociale
Riva torna spesso sul ruolo che hanno avuto (e stanno tuttora avendo) i social network nel favorire la nascita e lo sviluppo delle fake news. “Queste piattaforme funzionano per silos sociali: suddividono gli iscritti sulla base di determinate caratteristiche socio-valoriali, creano differenti categorie di pubblico e favoriscono la diffusione di contenuti che possano essere coerenti con l’universo valoriale dell’utente”, spiega Riva. La strategia si pone due obiettivi, entrambi sostanzialmente di carattere economico: stabilire una prima segmentazione del pubblico per l’offerta di spazi pubblicitari agli inserzionisti e, in seconda battuta, minimizzare le occasioni di conflitto per creare un ambiente confortevole per l’utente e incentivare così la permanenza sulla piattaforma. In questo modo, prosegue Riva, “si limita tuttavia l’accesso al pensiero divergente, che è poi l’unica arma che abbiamo contro le fake news: immersi in un panorama digitale che appare del tutto coerente con il nostro sistema valoriale, non siamo portati a mettere in dubbio le nostre convinzioni, perdiamo il nostro spirito critico e finiamo per prendere per vero tutto quello che ci passa davanti”.
Cambiare approccio significherebbe rivoluzionare un modello di business che finora ha dimostrato di funzionare benissimo dal punto di vista economico e finanziario. Lo scorso anno Meta, la società che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp, ha totalizzato ricavi per oltre 40 miliardi e messo a bilancio un utile netto di 14 miliardi di dollari: forte dei risultati raggiunti, il board della società ha deliberato di riconoscere agli azionisti un dividendo di 0,50 dollari per azione.
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Il paese delle fake news
Difficilmente dunque le piattaforme di social network modificheranno il proprio funzionamento per favorire il confronto e l’accesso al pensiero divergente. “Per il momento si stanno limitando a eliminare gli account che diffondono fake news”, commenta Riva. Troppo poco per sperare in un miglioramento della situazione. L’unica possibilità è che gli utenti si mobilitino autonomamente per porre un freno al fenomeno. “Dobbiamo iniziare a pensare che se è troppo strano o troppo eclatante per essere vero, allora probabilmente non è vero”, dice Riva. E poi, aggiunge, “cercare di diversificare le fonti di informazione”. Quasi un miraggio in un paese come l’Italia, che ha il maggior numero di cellulari per persona al mondo, il maggior numero di influencer rispetto alla popolazione generale e il maggior numero di cittadini, soprattutto giovani, che si informano pressoché esclusivamente sui social network. “La soglia di attenzione delle nuove generazioni è spesso limitata a pochi secondi, guarda caso la durata tipica di una storia o un reel su Instagram: per loro comprare e leggere un quotidiano, o anche guardare trenta minuti di telegiornale, è uno sforzo enorme”, commenta Riva. A conti fatti, sarebbe bastato sfogliare un giornale o anche solo fare una breve ricerca su internet per scoprire che la fake news dei vip era soltanto una balla.
Il risultato è che l’Italia è uno dei paesi al mondo più soggetti alla piaga delle fake news. Nel suo volume Fake news. Vivere e sopravvivere in un mondo di post-verità, pubblicato nel 2018 da Il Mulino, Riva è riuscito fornire una dimensione anche quantitativa del fenomeno in Italia: ogni giorno sono prodotte circa 600 fake news, ciascuna delle quali è condivisa una media di 350 volte. Da allora la situazione non è migliorata. “Circa un terzo delle 140mila fake news rimosse da Facebook nei primi sei mesi del 2023 nell’Unione Europea proviene dall’Italia”, commenta Riva. “Il fenomeno si è sviluppato inizialmente quasi per gioco con la creazione di pagine satiriche che diffondevano notizie palesemente false, ha mostrato tutte le sue potenzialità di persuasione dell’opinione pubblica con il referendum per la Brexit e con le elezioni negli Stati Uniti nel 2016, è proseguito negli ultimi anni con la pandemia di Covid-19 e con la guerra in Ucraina e adesso sta arrivando a toccare, come abbiamo visto, anche l’ambito delle truffe finanziarie: siamo di fronte a una deriva – conclude – che richiede strumenti ben più efficaci di quelli che abbiamo utilizzato finora”.