Fiducia, credito, investimenti: il circolo virtuoso delle imprese italiane
Il tessuto imprenditoriale italiano nell’ultimo decennio ha vissuto un incisivo depauperamento, inizialmente in risposta alla recessione globale del 2008 e in seguito per la crisi del debito sovrano italiano nel 2011. Dalle ultime ricerche settoriali emerge finalmente un andamento demografico positivo: nel 2016 la differenza tra attività cessate e nuove imprese è stata a favore di queste ultime, con un + 41 mila nuove unità. Ad oggi si contano in Italia 3,6 milioni di aziende extra agricole. Sono per la maggior parte (97%) classificabili come piccole imprese, con un fatturato annuo fino a 2,5 milioni di euro, mentre quelle definite come imprese vere e proprie sono il 3% e hanno un fatturato compreso tra i 2,5 e i 150 milioni di euro.
Uno scenario macro economico in miglioramento grazie anche alla crescita del prodotto interno lordo (+1,2% nel 2017), che pur attentandosi tra i più bassi dell’eurozona dà impulso ad un clima di fiducia, che infatti ha toccato quest’anno i massimi livelli dal 2012. Anche se il sentiment delle imprese migliora, la dinamica dei ricavi appare ancora piuttosto lenta, prevalentemente a causa della domanda interna che stenta ancora a ripartire definitivamente. Le previsioni future contano sul miglioramento dell’occupazione e sull’accorciamento dei tempi di pagamento da parte dei clienti, fattori che dovrebbero creare un clima favorevole alla liquidità e al benessere finanziario delle imprese.
Investire nell’innovazione e nella digitalizzazione
Grazie all’ambiente stimolante sono aumentati gli investimenti finalizzati a progetti di crescita, progressivamente sempre più indirizzati alla digitalizzazione dei processi. Confrontando le rilevazioni del biennio 2016/2017 con quelle dei due anni precedenti appare evidente lo scostamento a favore dei programmi innovativi di modernizzazione (+20%). Chi cerca di restare al passo con i paesi più avanzati sono soprattutto le imprese più strutturate, il 45% delle quali sta investendo sulla digitalizzazione, mentre sono solo tre su cento le piccole imprese che hanno iniziato a muoversi in questa direzione. Mobile business, sicurezza informatica e privacy, sviluppo e rinnovamento dei gestionali, dematerializzazione, cloud ed e-commerce sono le aree finora più gettonate. In vista dei prossimi due anni (biennio 2018/2019) si prevede invece che le imprese punteranno soprattutto su infrastrutture materiali e immateriali (hardware e software più sofisticati), attività con l’estero e nuovi mercati di sbocco (tramite siti di e-commerce o presenza su marketplace digitali), modelli di business innovativi e a carattere digitale, politiche del lavoro e welfare aziendale (con progetti di smart working), investimenti per l’adeguamento alle nuove normative europee e percorsi di formazione del personale sulle nuove tecnologie. Particolarmente rilevante sembra essere la correlazione tra digitalizzazione e skill dei lavoratori: otto imprese su dieci ritengono necessario strutturare progetti di formazione ad hoc per implementare le capacità IT dei propri dipendenti.
Banche e imprese: un rapporto reciprocamente conveniente
Il supporto delle banche risulta centrale in quest’ottica di crescita. Le imprese che avevano fatto domanda di credito nel secondo semestre 2012 erano state il 18,8% del totale, una percentuale salita al 25,6% nel primo semestre di quest’anno. Le somme richieste per sostenere investimenti, nello specifico, sono passate dal 34,4% del 2012 al 42,2% dei primi sei mesi del 2017, una quota destinata a crescere ulteriormente. Da questo punto di vista gli istituti di credito rivestono un ruolo strategico e sembrano ben disposti a supportare la crescita del tessuto industriale: l’84% delle domande fatte nel 2017 per finanziare investimenti nel digitale e nell’innovazione ha infatti ricevuto una risposta positiva. Gli operatori finanziari possono diventare quindi dei veri e propri partner, instaurando una collaborazione che sviluppa una situazione reciprocamente proficua e misurabile attraverso due indicatori specifici: il Cs (Customer sSatisfaction), che analizza il livello di soddisfazione “generale”, e il Nps (Net promoter score), che misura la propensione dell’impresa a consigliare a qualcuno la banca di cui si serve. Entrambi gli indicatori, si legge nell’Osservatorio di Format Research, sono in miglioramento, segno che il rapporto tra banche e imprese, dopo i momenti critici del passato, dà segnali di ripresa che fanno ben sperare per tutto il tessuto economico italiano.
Oltreconfine affrontando i rischi
In Italia le imprese che operano con l’estero sono il 4,6% del totale, la maggioranza delle quali si muove all’interno dei confini europei. Anche qui il sostegno delle banche risulta fondamentale, ed è affiancato dal ruolo dell’assicurazione. Per proteggersi dal rischio di mancati pagamenti un’impresa su quattro sceglie infatti di ricorrere ad una polizza di tutela del credito. Nella maggior parte dei casi (51%) la preferenza ricade su una copertura multimarket, valida sia per l’attività in Italia che per l’estero, mentre il 39% opta per una polizza esclusivamente export. Un altro fattore di attenzione è il rischio clientela estera, necessariamente diverso Paese per Paese e quindi particolarmente complesso da gestire. Il 27,8% delle imprese italiane esportatrici riconosce questa difficoltà e si affida a esperti del risk management per tutelarsi.