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Violenza economica, combatterla con l’educazione finanziaria

Esistono diversi tipi di violenza sulle donne, la più diffusa è quella psicologica, seguita da quella verbale e fisica. Ma quella di cui non si parla mai, subdola perché non sembra tale finché non si verificano situazioni estreme e la donna si trova completamente esclusa dalla vita sociale e a volte addirittura dal sostentamento primario, è la violenza economica. Ne abbiamo parlato con Claudia Segre di Global Thinking Foundation

“Comincia tutto con la richiesta dell’uomo alla donna di non avere un conto personale, poi magari di non lavorare. Poi con la richiesta da parte dell’uomo di avere la gestione esclusiva delle finanze di famiglia senza rendere la moglie partecipe delle decisioni, assegnando una cifra per le spese di casa e il mantenimento dei figli, controllando gli scontrini e criticando gli acquisti fatti. Ci sono casi addirittura in cui alla donna viene chiesto di usare il proprio conto corrente o patrimonio per mantenere la famiglia, senza poter lavorare e reintegrare le spese. Fino a firmare cambiali o prestiti, senza spiegare i motivi e i rischi”, introduce così il fenomeno della violenza economica Claudia Segre, presidente di Global Thinking Foundation a pochi giorni dalla presentazione della Guida realizzata in collaborazione con Cadmi, Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano.

Un problema trasversale
“La violenza economica, spiega Claudia Segre, è un fenomeno diffuso trasversalmente ed è indipendente dalla fascia di reddito delle donne, tutte possono esserne vittime. Si calcola che in percentuale 2/3 delle donne maltrattate sono anche vittima di violenza economica. Ma spesso non lo sanno e se ne rendono conto solo quando la situazione è grave”.
Nella spirale della violenza, la violenza economica è l’innesco più subdolo usato per isolare una donna facendole perdere l’indipendenza. Ciò ha un impatto fortissimo sui costi sostenuti dalla collettività, impatto che ci coinvolge tutti sia direttamente che indirettamente. “L’aspetto peggiore di questo tipo di violenza è che si riflette sul futuro non solo delle donne, ma anche dei figli che rischiano di trovarsi in una situazione di povertà ed esclusione sociale grave” sottolinea Claudia Segre.

Non si tratta di cultura patriarcale
Le forme di violenza economica spesso vengono scambiate per abitudini consolidate dalla cultura patriarcale: come la gestione delle finanze della famiglia da parte del marito, che spesso tiene all'oscuro la moglie sui risparmi e gli investimenti.
Una ricerca finanziata dalla Global Thinking Foundation ha rivelato che il 22% delle donne italiane non si occupa dei propri risparmi. Dal rapporto realizzato nel quadro del progetto europeo WE GO – Women Economic Indipendence & Growth Opportunity – si evince che è proprio la mancanza di indipendenza economica a ostacolare l’uscita delle donne da situazioni di violenza e, soprattutto, che il 53% delle donne del campione considerato dichiara di avere subito una qualche forma di violenza economica. In dettaglio: il 22,6% ha dichiarato di non avere nessun accesso al reddito familiare, il 19,1% di non poter usare i suoi soldi liberamente, il 17,6% ha affermato che le proprie spese sono controllate dal partner, il 16,9% di non conoscere neppure l’ammontare del reddito familiare e il 10,8% di non avere neppure "il permesso" di lavorare.


La scala di gravità del fenomeno
Nonostante sia spesso percepita come un reato minore, la violenza economica gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento di relazioni violente. Diventa già violenza economica quando il denaro o il patrimonio vengono usati per limitare la libertà e l'indipendenza della donna. Senza risorse finanziarie, e spesso isolata dal contesto lavorativo e sociale, la donna non può permettersi di denunciare e lasciare il compagno, nonostante gli abusi.

Esiste una scala di gravità che identifica il peso della pressione violenta che la vittima di violenza economica subisce:

  • base, caratterizzato dal controllo e dall’omissione totale dalla gestione delle risorse finanziarie;
  • intermedio, dove l’uomo limita con più forza la libertà di scelta della donna negandole i soldi anche per i beni di prima necessità;
  • ultimo livello, che si potrebbe definire delinquenziale, dove la donna si trova costretta ad erodere il proprio patrimonio o a firmare documenti finanziari (mutui, cambiali, prestiti) in assenza di consapevolezza.

Eppure la percentuale delle donne che si rivolgono ai centri di aiuto per questioni legate alla violenza economica sono solo il 18 per cento rispetto al 68 per cento per violenze fisiche, il 91 per cento per violenze psicologiche (dati Cadmi).


L’informazione per combattere i comportamenti violenti
Per venire in aiuto delle donne, la Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano in collaborazione con Global Thinking Foundation, ha lavorato alla seconda edizione della guida ‘La violenza economica’, che mette insieme i segnali per riconoscere comportamenti violenti, anche quelli socialmente accettati.
La guida è scritta con un linguaggio semplice, diretto e preciso: le donne devono sapere che comprendere temi di economia e gestione economica finanziaria non è impossibile e che in questo viene in aiuto anche la digitalizzazione.
“L’obiettivo della guida, spiega Claudia Segre, non è solo aiutare le donne a riconoscere questa forma di violenza ma è fornire quell’educazione finanziaria di base per prevenire certi comportamenti o combatterli: all’interno ad esempio si trova un glossario su alcuni termini fondamentali per la gestione della finanza familiare (ad esempio cosa si intenda per comunione di beni, polizza assicurativa o previdenza), in modo che la conoscenza possa riuscire a disinnescare molte delle situazioni di isolamento economico e sociale che portano poi a esiti più dolorosi”.

La consapevolezza è il primo passo

“L’educazione finanziaria è fondamentale. Le donne – continua Segre - spesso sono timide nei confronti dell’economia e della gestione economica, ma noi crediamo che solo con l’educazione finanziaria, possano raggiungere quel grado di autonomia minima per non dover accettare situazioni di violenza”.
Claudia Segre è anche parte attiva del gruppo Donne al Quadrato, la task force di donne che diffonde la cultura finanziaria all’universo femminile.
Fondata nel 2016, Global Thinking Foundation (GLT) nasce con la missione di promuovere l’educazione finanziaria, rivolgendosi a studenti, investitori e risparmiatori. La fondazione ha intrapreso un percorso di innovazione e di ricerca in quest’ambito, sviluppando progetti per la diffusione della cittadinanza economica.
Attraverso un approccio di costante collaborazione con fondazioni, associazioni, istituzioni finanziarie e governative, la Fondazione volge il suo sguardo a diverse iniziative nazionali e non solo, realizzando progetti didattici dedicati anche alle politiche di genere come nel caso della violenza economica.

Le iniziative di Donne al Quadrato
L’iniziativa D2-Donne al Quadrato, realizzata da Global Thinking Foundation, in collaborazione con Assiom Forex, l'associazione italiana degli operatori finanziari, è dedicata alle donne che hanno vissuto vicende legate a situazioni di isolamento economico, reduci da divorzi o violenza domestica, che desiderano tornare a essere protagoniste e uscire dall’esclusione sociale e lavorativa.
 “Il nostro impegno – sottolinea Segre - rispetto all’aggiornamento della guida è solo una delle iniziative. Abbiamo attivato ad esempio un percorso di formazione gratuito sulla pianificazione familiare, finanziaria e imprenditoriale attivo in numerose città italiane da Nord a Sud. Organizziamo corsi per giovani coppie. Perché parlare di soldi non dev'essere un tabù, specie all’interno delle giovani coppie. È importante conoscere gli elementi alla base della gestione economica e finanziaria della famiglia. Conoscenze che devono essere univoche e condivise”.
Un’attività che si basa sulla collaborazione con fondazioni, centri antiviolenza e istituzioni per fornire dei corsi di alfabetizzazione finanziaria, per aiutare quelle donne che desiderano mettersi in proprio, o che si trovano dall'oggi al domani a dover gestire un patrimonio loro o del marito e non sanno da che parte cominciare, a partire dall’apertura di un conto corrente, alla gestione delle spese.

Sensibilizzare anche gli operatori finanziari
Educazione finanziaria sì, ma servono anche iniziative di sensibilizzazione rivolte agli operatori finanziari e bancari per riconoscere i casi sospetti di violenza economica e attuare tutte le misure per contrastarla.
“Capire quando c’è una situazione di disparità economica - spiega Segre - non è difficile per una banca. E’ il caso di quando si è in presenza, ad esempio di un conto cointestato ed esiste un solo bancomat. Oppure quando si presenta un solo cointestatario a fare delle operazioni bancarie per conto di entrambi e la firma del coniuge assente è palesemente falsa. Oppure casi più seri, come la firma di cambiali a nome del coniuge assente. Ecco, la banca dovrebbe vigilare ed essere più attenta a riconoscere queste situazioni ”.
In realtà si tratterebbe di applicare semplicemente la Mifid2, ma purtroppo siamo ancora lontani dall’omogeneità di comportamento.