L’intelligenza artificiale cambia le aziende
Tutti (o quasi) la vogliono ma non altrettanti sanno bene a cosa serva. Parliamo dell’intelligenza artificiale e del suo ruolo all’interno delle aziende. Una recente ricerca di Sap, tra le principali software house al mondo, in collaborazione con il think tank The european house – Ambrosetti, ha verificato che Il 77% dei ceo italiani, e operanti in Italia, ritiene che l’intelligenza artificiale sia un fattore importante o molto importante per lo sviluppo dell’azienda e tuttavia il 51% pensa che all’interno della propria impresa non ci sia ancora chiarezza su cosa s’intenda concretamente per intelligenza artificiale. L’indagine è stata svolta su un campione di oltre 500 grandi aziende, sia italiane sia multinazionali operanti in Italia, coinvolgendo per il 70% amministratori delegati e presidenti e per il 30% direttori generali e consiglieri d’amministrazione.
PIÙ GRANDI E PIÙ INTELLIGENTI
Più un’organizzazione è grande e produce fatturato e più è alto il livello di percezione dell’importanza dell’IA: per esempio, il tasso delle risposte importante e molto importante si attesta al 69% per le imprese al di sotto dei 50 milioni di euro di giro d’affari e sale fino all’89% in quelle al di sopra dei 500 milioni. Tuttavia, è diffusa la consapevolezza che l’IA sia ancora un concetto difficile da afferrare: sarà quindi necessario, spiegano gli autori della ricerca, un approccio top-down in cui il ceo dovrà avere un ruolo guida nella promozione del cambiamento dal punto di vista culturale, strategico e organizzativo dell’azienda. La prima linea del management dovrà quindi sviluppare le competenze necessarie per estrarre valore dall’IA; guidare l’adozione della nuova tecnologia in base alle priorità strategiche del business; garantire l’aggiornamento continuo dell’organizzazione.
PRIMUM DELEGARE
Dalla ricerca emerge comunque una mancanza di consapevolezza da parte dei ceo intervistati circa l’impatto concreto dell’intelligenza artificiale sul proprio lavoro. L’82,9% ritiene che tocchi prima di tutto al chief innovation officer, al chief technology officer o al chief digital officer ripensare le proprie priorità e responsabilità. Poi dovrà intervenire il responsabile ricerca e sviluppo (61%), il responsabile di produzione (58,5%) e il responsabile marketing (56,1%). Solo un terzo dei ceo ritiene che il cambiamento principale riguardi loro stessi. Secondo Sap e The european house – Ambrosetti questo significa che esiste ancora una netta separazione tra la dimensione strategica e quella operativo-gestionale, giacché i vertici tenderebbero a delegare la gestione degli aspetti legati allo sviluppo del’IA ai responsabili delle varie aree. Questo approccio, dicono i ricercatori, espone le organizzazioni a una visone di breve termine; al contrario, per garantire la sostenibilità e la competitività del business nel medio-lungo periodo è necessario che l’integrazione dell’IA sia assoluta prerogativa del capi d’azienda.
UOMO E MACCHINA LAVORANO INSIEME
A conferma, comunque, di un elevato interesse per tale tecnologia, i ceo si dichiarano, in maniera crescente, pronti alla sperimentazione di applicazioni. Il 48,8% dichiara che la propria azienda sta sviluppando soluzioni interne, il 23% pensa di affidarsi a partner esterni, mentre l’11,6% del campione non investirà in IA nel prossimo triennio. Per quanto riguarda le aree di applicabilità, la maggior parte dei leader intervistati indicano le aree di magazzino e logistica (62,5%), servizi post-vendita e assistenza clienti (60%) come quelle in cui potranno dispiegarsi le maggiori opportunità. Resta lo scetticismo sull’applicazione dell’AI nelle aree di amministrazione, finanza e controllo (33,3%), strategia (26,8%) e risorse umane (14,3%). Naturalmente, conclude la ricerca, non è necessario che i ceo diventino esperti di tecnologia ma che acquisiscano gli elementi necessari per comprenderne le implicazioni strategiche per governare l’evoluzione in atto. Il rischio principale è che le imprese sottovalutino le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale trattandola come uno strumento adatto esclusivamente all’automazione dei processi produttivi. Al contrario, la corretta interazione tra uomo e macchina potrà favorire anche i processi decisionali più critici.