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Imparare dagli errori, vale anche per le aziende

L’80 per cento dei prodotti lanciati sul mercato falliscono. In Svezia il Museo del Fallimento mostra, esempi alla mano, che anche big e innovatori sbagliano. Ecco qualche prodotto flop

Sbagliare un prodotto o un servizio è qualcosa di cui le aziende non amano parlare. Un tabù per intenderci, soprattutto in Italia. Eppure è noto che le grandi multinazionali, quelle che innovano, a volte lanciano sul mercato prodotti che credono di punta e che invece si rivelano dei flop. E se, in qualche caso, il fallimento di alcuni prodotti era annunciato, di contro, per altri si scopre che quei fallimenti hanno gettato le basi per invenzioni future, a volte addirittura epocali.


Tutto ciò lo troviamo esposto in una mostra curata da Samuel West, ricercatore dell'università di Lund con un dottorato in psicologia organizzativa, che un giorno ha deciso di raccogliere tutte le case history di errori e fallimenti aziendali di cui era a conoscenza e di esporle al pubblico in un museo all’apparenza stravagante, il Museo del Fallimento. Un vero e proprio viaggio nel tempo attraverso decine di prodotti flop inseriti ognuno in una teca corredata dalla motivazione che spiega il fallimento del prodotto sul mercato.

Ogni anno 30.000 prodotti vengono immessi sul mercato e di questi solo il 20% ha successo. Il restante 80% sparisce e non se ne sente più parlare. “È fondamentale accettare che l’innovazione è un rischio e a volte passa anche dal fallimento. Il progresso ha bisogno di persone disposte a rischiare e di persone capaci di imparare dai propri errori.” è quanto afferma Samuel West.
Imparare dagli errori non è un processo immediato per le aziende. Le più avanti sono quelle statunitensi che stanno portando la loro esperienza di “Condivisione del fallimento” nel resto del mondo. Esistono ad esempio delle conferenze chiamate FailCon dove gli startupper si ritrovano per condividere errori e fallimenti con l’obiettivo di affrontare al meglio i colloqui futuri con i venture capitalist quando questi chiederanno loro di parlare dei fallimenti passati prima di elargire il finanziamento per un nuovo progetto.
Il Museo del Fallimento si trova a Helsingborg, in Svezia, ma recentemente ha aperto anche a Los Angeles e presto aprirà in Canada, Cina e Germania.
Ma vediamo un po’ di prodotti esposti al Museo del fallimento.

Apple, Google e Microsoft
Apple ha trovato spazio nel Museo del Fallimento. Merito di Newton, un palmare con pennino dalle dimensioni e dal peso non proprio tascabili che fu lanciato nel 1993. Questo dispositivo fu presentato al pubblico come il dispositivo del futuro, ma a causa dei pessimi risultati di vendita fu ritirato dal mercato. Questo però, ricordiamolo, diede il via alla rivoluzione vinta da iPhone e iPad qualche anno dopo.
Google d’altro canto non è da meno e si è vista aprire le porte del Museo del Fallimento per aver puntato sul progetto dei Google Glass, salvo poi fare retromarcia in poco tempo a causa delle numerose problematiche date dalla nuova tecnologia. Aspettiamoci che tra qualche tempo avremo una versione completamente diversa e migliorata di quella che abbiamo visto finora.
Anche Microsoft ha trovato il suo spazio nel museo del Fallimento. Grazie a Zune. Fu lanciato nel 2007 sul mercato statunitense e rimase confinato lì. Voleva essere l’alternativa all’iPod, permettendo inoltre di scambiarsi musica tra device. Nonostante gli ingenti investimenti, il prodotto non piacque e oggi è finito nell’oblio.

Social Network si, ma non troppo

Il Twitter Peek, è un gioiellino che ha trovato degna posizione nel museo del fallimento. Si trattava di un piccolo dispositivo con video e tastierina nato esclusivamente per twittare. Fu un flop non tanto per l’idea in sé, quanto per il fatto che da due anni c’erano già gli iPhone

Gli errori di valutazione colossi di fotografia e home video
Quando Sony decise di lanciare il Betamax, antesignano del videoregistratore, negli anni Settanta, era convinta di aver lanciato un formato di registrazione che sarebbe diventato a breve quello ufficiale dei video. Ma non aveva fatto i conti con l’arrivo del VHS che scombinò tutti i piani.
Diversa è invece la storia di Kodak che nel 1995 fece debuttare la prima macchina fotografica digitale con l’obiettivo di anticipare la concorrenza, ma poi smise di investire in questo settore e non si accorse che il mercato si stava dirigendo verso la fotografia digitale. Un errore di valutazione che la condannarono al fallimento.
Simile la fine di Blockbuster la grande catena di noleggio di film affossata dallo streaming online.

Cibi e bevande che non assaggeremo più
Due sono i prodotti targati Coca-Cola che corrispondono ad altrettanti flop: la Coke II, una nuova formulazione della famosa bibita studiata a metà degli anni '80 per tamponare l'exploit della Pepsi, e la Coca BlaK, uno strano mix tra l'originale e il caffè. Entrambe ritirate.
Un flop che da noi non è arrivato è la Lasagna Colgate. Hanno invece tentato di sfruttare la forza del proprio brand sia Colgate, quando pubblicizzò la lasagna surgelata. Il pubblico non sentì l’afflato per il brand che si aspettavano e la lasagna fu archiviata tra gli esperimenti da non ripetere.
Nel museo troviamo anche un ketchup verde firmato Heinz. Questa salsa al sapore di spinaci non incontrò per nulla il favore del pubblico. Burger King e MC Donald la adottarono tra i loro distributori americani nel 2007, ma durò meno di un anno.

Video giochi e giochi da tavolo
Fra il 2003 e il 2005 Nokia propose al mercato dei giovanissimi N Gage, un dispositivo che poteva essere usato sia come cellulare sia come lettore di videogiochi. Pochi lo comprarono e ne apprezzarono le qualità.
Negli anni '80, dove il boom economico dei paesi occidentali faceva ben sperare, il gioco da tavola di Donald Trump non ebbe assolutamente il successo previsto.
Non un gioco dell'oca, ma un monopoli dove lanciando i dadi si poteva finire al casinò, in banca rotta, o in un affare arabo. Alla fine vinceva chi era diventato più ricco.
Allora fu un flop. Oggi chissà…