Lo smog fa sette milioni di morti
Quasi una guerra, più di una guerra: ogni anno lo smog miete oltre sette milioni di vittime. Morti premature dovute a malattie non trasmissibili imputabili all’inquinamento, atmosferico ma non solo. Che rinnovano il drammatico bilancio di quello che l’Organizzazione mondiale della sanità aveva definito “il killer invisibile”.
E proprio dall’Oms arriva l’ultimo allarme, lanciato nei giorni della Cop24 in corso a Katowice, in Polonia. L’incontro, secondo molti analisti, rappresenta una svolta cruciale nella lotta al cambiamento climatico, per almeno due ragioni. Innanzitutto perché consentirà di aggiornare gli impegni assunti dai leader mondiali alla precedente Cop21 di Parigi: la speranza è che i partecipanti possano raggiungere un accordo per tagliare ancor più drasticamente le emissioni di Co2, considerato il gas serra maggiormente responsabile del riscaldamento globale. E poi perché il summit di Katowice costituisce la prima vera occasione di scambio e confronto dalla clamorosa uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi. In realtà, l’addio voluto dall’amministrazione Trump resta al momento fermo soltanto alle intenzioni: le regole stabilite a Parigi saranno effettive soltanto dal 2020 e gli Stati Uniti parteciperanno alla conferenza di Katowice con una delegazione, anche se davvero scarse sono le speranze che possa (o voglia) portare un contributo significativo alla discussione. I riflettori sono dunque puntati su Cina e Unione Europea: sta a loro, usciti di scena gli Stati Uniti, dimostrare adesso un impegno comune nella lotta al cambiamento climatico.
La strada si presenta comunque fin da subito in salita. Nella giornata inaugurale, il padrone di casa e presidente polacco Andrzej Duda ha spiazzato tutti affermando che il suo paese “non può rinunciare al carbone”, visto che si tratta una materia prima “strategica” per garantire “la sovranità energetica” dei polacchi. Il carbone copre ancora l’80% del fabbisogno energetico della Polonia: Varsavia punta a portare la quota al 50% entro il 2030, sebbene il target della Commissione Europea per quella data sia fissato al 40%.
Titubanze che si sommano alla lentezza più volte denunciata dalle associazioni ecologiste nella lotta al cambiamento climatico. Qualche passo in avanti è stato fatto, come gli incentivi al mercato delle fonti rinnovabili che può ora contare su un giro d’affari di 300 miliardi di dollari a livello globale, ma ancora poco per riuscire a contener davvero l’aumento delle temperature: lo sforamento sopra gli 1,5° C appare ormai inevitabile. L’obiettivo è ora fissato a 2° C, soglia oltre la quale si stima che il cambiamento climatico potrà tradursi in eventi estremi con ripercussioni su intere aree geografiche e milioni di persone. L’Istituto superiore di sanità, in occasione del primo simposio internazionale Health and Climate Change, ha messo nel mirino i prossimi vent’anni: dopo sarà troppo tardi per “salvare il pianeta dai cambiamenti climatici e dagli effetti devastanti che questi avranno sulla salute dell’uomo e dei territori”. Il lavoro delle prossime due generazioni si rivela dunque cruciale per la salvaguardia della Terra.
Qualche segnale tuttavia arriva. Soprattutto dal settore privato, forse sulla spinta della sempre maggior consapevolezza ambientale assunta dai consumatori. Stando all’ultima ricerca del network Unfriend Coal, ben 19 compagnie assicurative, che gestiscono asset per 6mila miliardi di dollari, hanno deciso una stretta sull’industria carbonifera: Generali, Allianz, Axa e Zurich, tanto per citarne alcune, hanno introdotto nuove restrizioni all’assunzione di rischi legati al mercato del carbone.