La responsabilità dei dottori commercialisti e degli esperti contabili
Nella recente sentenza n. 30168 del 22 novembre 2018 la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire alcuni interessanti aspetti sul tema della responsabilità dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
In particolare, secondo la Suprema Corte per quanto concerne la responsabilità del professionista nella predisposizione delle dichiarazioni fiscali vale il seguente principio: “La domanda di rimborso del credito IVA deve essere tenuta distinta da quella di compensazione dell'imposta con altro debito fiscale, sicchè, laddove l'istanza del contribuente sia formulata in termini di compensazione, e non denoti l'inequivocabile volontà di ottenere il rimborso del credito (mediante l'indicazione del credito nel quadro "RX4" nella dichiarazione annuale), non si applica il termine ordinario decennale di prescrizione, bensì quello di decadenza biennale previsto dall'art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992”.
La fattispecie riguardava la responsabilità professionale di un commercialista per la perdita del diritto al rimborso del credito IVA di una società sua cliente, dovuto all'indicazione dello stesso come credito di cui si chiedeva la compensazione. In sostanza, il commercialista aveva esposto il credito in dichiarazione, ma aveva optato per la compensazione anzichè per il rimborso diretto, con conseguente applicazione del termine biennale di decadenza.
Successivamente, a fronte di una richiesta di chiarimenti inviata da parte dell’Agenzia delle Entrate e relativa al credito IVA, il commercialista non si era reso parte diligente, omettendo di fornire i necessari chiarimenti all’amministrazione e la necessaria documentazione alla propria cliente.
In seguito, appurato l'errore, la cliente si era attivata presso l'Agenzia delle Entrate al fine di ottenere il riconoscimento del credito IVA effettivamente maturato, ma l'Agenzia delle Entrate l’aveva ritenuta decaduta dal relativo diritto, poiché la richiesta era intervenuta oltre il termine biennale di decadenza.
All’esito di tali eventi, la cliente ha agito in giudizio nei confronti del commercialista per responsabilità professionale, ottenendo la condanna di quest’ultimo nel giudizio di merito.
La Corte di Cassazione ha confermato la condanna del commercialista, ritenendolo responsabile non soltanto in ragione dell’errore di compilazione della dichiarazione dei redditi, ma anche a causa la successiva inerzia dello stesso a seguito della richiesta di chiarimenti da parte della amministrazione tributaria.
Nella suddetta sentenza, a conferma della responsabilità del commercialista, la Corte di Cassazione ha chiarito che “lo standard di diligenza richiesto al commercialista, pertanto, ricomprende il compimento di ogni attività, anche successiva, funzionalmente necessaria a rendere utile la prestazione resa nell’interesse del cliente”.
Per poter meglio comprendere la portata della decisione della Corte di Cassazione è necessario ripercorrere, in breve, gli aspetti salienti della disciplina della responsabilità dei commercialisti.
La disciplina della responsabilità professionale
L’attività professionale del commercialista rientra nell’alveo delle professioni intellettuali, poiché presuppone scelte interpretative e valutazioni discrezionali in ordine alle modalità di estrinsecazione dell’attività svolta. Sotto il profilo normativo, il rapporto tra il commercialista e il cliente costituisce un contratto d’opera intellettuale, disciplinato dagli articoli 2229 e ss. del codice civile.
Attesa la natura discrezionale e valutativa dell’attività svolta, il commercialista non assume l’obbligo di raggiungere il risultato voluto dal cliente, ma si impegna a prestare diligentemente la propria opera per raggiungere il risultato richiesto dal cliente. In altri termini, il commercialista assume una obbligazione di mezzi e non di risultato.
Al fine di valutare la eventuale responsabilità del commercialista, dunque, non rileva il raggiungimento risultato richiesto dal cliente, ma le modalità di svolgimento della prestazione da parte del commercialista, che devono essere rispettose dello standard della diligenza professionale, previsto dall’articolo 1176, comma secondo, c.c., ai sensi del quale “nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata”.
Tale norma sancisce che la diligenza del professionista debba essere valutata sulla base di un parametro astratto, ovvero la diligenza del commercialista di media preparazione ed attenzione in rapporto alla prestazione resa. In sostanza, qualora il commercialista agisca con una diligenza inferiore al suddetto standard, lo stesso potrà essere ritenuto responsabile per negligenza e condannato all’eventuale risarcimento del danno.
Sempre in tema di diligenza professionale, appare utile ricordare che in una sentenza la Corte di Cassazione (sentenza n. 13007 del 23 giugno 2016) ha ritenuto che il commercialista per potersi ritenere diligente - e dunque esente da responsabilità - deve comunicare al cliente anche i limiti della propria competenza tecnica ed eventualmente suggerire al cliente di rivolgersi ad un altro professionista dotato delle necessarie competenze richieste dallo specifico incarico.
Quanto alla distribuzione dell’onere della prova nell’eventuale giudizio, vale il principio generale espresso dalla Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 11213 del 09/05/2017, secondo cui: “la responsabilità del prestatore di opera intellettuale, nei confronti del proprio cliente, per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova, da parte di costui, del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente, formando oggetto di un accertamento che non è sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivato”.
Invece, il professionista, per andare indenne da responsabilità, ha l’onere di provare di aver adempiuto alle proprie obbligazioni rispettando lo standard di diligenza normativamente imposto.
Conclusivamente, quindi, si può affermare che il commercialista non ha l’obbligo di ottenere il risultato richiesto dal cliente, ma ha comunque l’obbligo di svolgere diligentemente il proprio mandato e, successivamente all’esecuzione della prestazione, dovrà anche svolgere tutte le attività che siano necessarie a preservare l’utilità della prestazione svolta nell’interesse del cliente. Inoltre, qualora il commercialista non sia in grado di fornire la consulenza richiesta, deve informare il cliente dei limiti della propria competenza ed eventualmente suggerire di rivolgersi ad altro professionista.
La responsabilità per la consulenza fiscale e per la proposizione di ricorsi tributari
Con particolare riferimento alla responsabilità del commercialista per l’attività di consulenza fiscale e per la proposizione di ricorsi tributari, settori in cui più frequentemente nella pratica si riscontrano richieste di risarcimento nei confronti dei commercialisti, gli aspetti di maggiore interesse riguardano (i) il danno risarcibile e (ii) il nesso causale tra la condotta del professionista e il danno subito.
Quanto al danno risarcibile, va chiarito che di norma esso è rappresentato dai maggiori oneri che il contribuente è costretto a sostenere nei confronti dell’amministrazione finanziaria quale conseguenza dell’errore commesso dal commercialista, ovvero delle sanzioni e degli interessi dovuti sulle imposte non versate.
Con riguardo al nesso causale, invece, si osserva che la responsabilità per mancata e/o errata impugnazione di un accertamento fiscale sorge solo in presenza di una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del ricorso.