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Quanto conta oggi l’export online

Crescono le esportazioni italiane sul mercato digitale, in particolare verso Europa e Usa, mentre è più complesso affrontare il sistema cinese. Il salto di qualità trova ancora impreparate le Pmi, alle prese con la necessità di strutturare i canali necessari

Cresce l’export di beni di consumo attraverso i canali digitali e raggiunge il valore di 10,3 miliardi di euro, con un +12% rispetto al 2017, anche se si rileva un rallentamento rispetto all’anno precedente. Nonostante il trend positivo, le esportazioni via canale digitale rappresentano una quota ancora marginale del totale, pari ad appena il 7% dell’export di beni di consumo (144 miliardi di euro) e a poco più del 2% delle esportazioni totali (463 miliardi).
Sono i principali dati che emergono dalla ricerca dell'Osservatorio Export Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, presentata al convegno “Export digitale: quanta strada c’è da fare!”, nel quale si è sottolineata l’importanza per le imprese, in particolare per le Pmi, di affrontare il mercato estero attraverso l’e-commerce, soprattutto verso i Paesi emergenti. Nelle Pmi l’adozione di soluzioni di export digitale è rallentata dalla preferenza per i canali tradizionali: l’80% esporta online ma sempre in affiancamento agli strumenti offline e il 56% sostiene che all’e-commerce è legata una quota marginale del fatturato prodotto all’estero.

Le quote dell’export digitale italiano
Il mercato mondiale nel 2018 è cresciuto del 20% e ha raggiunto un valore di 2.500 miliardi di euro. L’Europa e gli Stati Uniti, con una crescita in linea con quella italiana, assorbono rispettivamente la metà e un quarto dell’export digitale del Bel Paese, poco presente invece sui mercati a maggiore espansione, inclusa la Cina, dove però la presenza è selettiva, va strutturata secondo le regole del paese e comporta costi elevati.
Nell’export online italiano, il settore più importante è il Fashion, che vale 6,7 miliardi di euro e incide per il 65% delle esportazioni online e il 12,7% dell’export totale di settore. Seguono i prodotti agroalimentari e bevande, con il 12% del mercato (1,2 miliardi, il 2,8% delle esportazioni del settore), e l’arredamento, che pesa per il 9% e vale più di 900 milioni di euro (il 9,5% dell’export complessivo di mobili). Chiudono, con quote marginali, l’elettronica, la cosmetica, cartoleria, giochi, articoli sportivi.

Meglio il B2b del B2c
L’export digitale B2b cresce molto più lentamente delle esportazioni di beni di consumo (+1,5% nel 2018 per un valore complessivo di 132 miliardi di euro) ma ha un’incidenza molto più elevata sul totale delle esportazioni, pari al 28,5%. Le filiere più digitalizzate sono l’automotive, con una quota del 26% dell’export digitale B2b (ma circa il 75% del totale di settore), il tessile e abbigliamento, che pesa per il 14% (36% dell’export di settore), e la meccanica, primo settore per l’export complessivo e pari a circa l’11% delle esportazioni digitali B2b (il 18% del totale di settore). Seguono il largo consumo, (6%), il comparto del materiale elettrico (5%), l’elettronica (2,7%), il farmaceutico (2%), e molti altri comparti, fra cui le costruzioni e il chimico, che complessivamente coprono un terzo dell’export digitale B2b e valgono 43 miliardi.

Un canale complesso per le Pmi
Dalla ricerca emerge che la maggior parte delle piccole e medie imprese utilizza l’e-commerce nell’esportazione, ma sempre come canale secondario rispetto ai canali tradizionali B2b. Una delle ragioni potrebbe risiedere nella complessità per le imprese meno strutturate di gestire una forma di distribuzione alternativa: i canali online più utilizzati sono i marketplace (40%), soprattutto quelli internazionali, mentre le iniziative individuali, sia B2b che B2c, sono le meno adottate (20%), ed è abbastanza diffusa la combinazione di canali propri e canali intermediati (40%).
Solo il 12% delle Pmi si occupa internamente di tutte le fasi del progetto di export digitale, ben il 40% delega la gestione di tutti i processi (marketing, logistica, presidio dei canali commerciali) a intermediari e fornitori di servizi, il 30% delle imprese esternalizza soltanto gli aspetti di logistica, il 18% gestisce direttamente i magazzini e la logistica e affida a fornitori esterni la gestione delle altre attività. “Le Pmi italiane sono consapevoli delle potenzialità del digitale per spingere le proprie esportazioni — commenta Lucia Piscitello, responsabile scientifico dell’Osservatorio Export Digitale —, la prevalenza di strategie di export in outsourcing conferma la difficoltà delle nostre imprese a gestire in prima persona i processi collegati alle iniziative di internazionalizzazione online”.

Il commercio online passa dai marketplace
L’analisi dei principali marketplace internazionali B2c e B2b rivela un mercato e-commerce abbastanza concentrato, in cui ogni Paese presenta mediamente pochi player molto grandi, ma rilevanti per l’ingresso in quel mercato.
Sono 58 i marketplace censiti nello studio dell’Osservatorio, di cui il 46% opera a livello globale, mentre la parte rimanente resta nei confini del paese di riferimento o su un’area geografica più ampia ma comunque limitata.
Oltre ad Amazon e Alibaba, le piattaforme che più contano a livello internazionale sono Flipkart, leader dell’e-commerce indiano, Qoo10, con sede a Singapore, Rakuten, che opera in Giappone e Usa, GittyGidiyor, per il mercato turco, e Jet.com, posseduta da Walmart, negli Stati Uniti.
Circa la metà dei 58 distributori online censiti opera come marketplace verticale – ad es. Joor per il fashion -, l’altra è composta da piattaforme presenti trasversalmente su più settori. Nel 54% dei casi (che sale al 67% se consideriamo solo i marketplace attivi anche nel segmento B2b), i marketplace sono facilmente accessibili per i brand italiani, mentre nel B2b prevalgono le piattaforme con requisiti stringenti, come ad esempio la costituzione di una società nel paese in cui si vuole vendere.

I limiti dell’opportunità Cina
Nel 2018 la Cina si conferma il primo mercato e-commerce B2c al mondo, raggiungendo un valore di 1000 miliardi di euro, pari a circa il 40% del mercato globale. Un mercato estremamente concentrato, in cui da anni dominano i grandi attori locali, con i primi tre marchi, Tmall (la piattaforma B2c di Alibaba, 61% del mercato) e JD.com (Gruppo Tencent, 24%) e Suning (7%), che insieme coprono il 90% delle vendite, seguiti da Vip col 4% delle quote, mentre tutte le altre iniziative pesano ognuna per meno dell’1%. Anche le vendite online cross border verso la Cina hanno continuato la crescita registrata negli ultimi anni (102 miliardi di euro, +13% rispetto al 2017), con un mercato B2c che si presenta più frammentato rispetto al mercato domestico: di fianco alle piattaforme di grandi player come Tmall Global, JD Worldwide o Vip.com, troviamo marketplace specializzati esclusivamente sul segmento cross border, come Kaola.com, yMatou.com, Xiaohongshu e Mia.com. Si tratta quindi di un mercato dalle grandi opportunità ma non facile da affrontare: secondo Riccardo Mangiaracina, direttore dell’Osservatorio Export Digitale, “vendere in Cina può comportare costi e investimenti elevati, indipendentemente dalla piattaforma e dal settore considerato. Bisogna investire molto in attività di marketing e puntare sullo sviluppo di competenze digitali specifiche per il mercato cinese”, senza considerare altri vincoli più prettamente operativi posti dal Paese.