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Agricoltura, Italia in affanno

Il settore necessita di una costante attenzione istituzionale in termini normativi, di investimenti e di ricerca scientifica per colmare il gap con il resto dei Paesi europei. Le evidenze delle criticità da risolvere nel nostro Paese secondo l’analisi di Nomisma

L'Italia fatica a tenere il passo con il resto dei Paesi dell’Unione, pur restando comunque nella media europea. È quanto emerge dallo studio di Nomisma sul settore agroalimentare italiano, l'Agrifood innovation index, presentato a Roma durante l’incontro dal titolo “La nuova agricoltura sostenibile. L’innovazione come driver di sviluppo del settore agricolo secondo una prospettiva di sostenibilità socio-economica ed ambientale” organizzato dall’Associazione Luca Coscioni e Science for Democracy.
L’unità di ricerca agroalimentare di Nomisma ha sviluppato un osservatorio sull’innovazione in agricoltura che raccoglie e diffonde dati e informazioni sull’innovazione in agricoltura con l’obiettivo di aumentare il livello di conoscenza e la corretta interpretazione dei fenomeni innovativi nel settore primario italiano.
Nomisma ha elaborato un indice originale e monitorabile nel tempo che, sulla base dei dati di performance produttiva e ambientale delle imprese agricole europee, permette di misurare il grado di innovazione del settore primario italiano in confronto agli altri Paesi Membri. L’indice mette a sistema indicatori di produttività delle colture, degli allevamenti, dei fattori di produzione e indicatori di sostenibilità ambientale. Il risultato viene espresso con un indice da 0 a 100 .
La leadership indiscussa va ai Paesi Bassi che raccoglie 88 punti, seguiti da Belgio con e Germania con 62 punti e Danimarca 56. L’Italia ferma a 49, si trova con un punteggio in piena media UE.

Italia arretrata per capacità di innovare
Dalla ricerca Nomisma emerge che il posizionamento europeo dell’Italia per quel che riguarda la capacità di creare le condizioni che sviluppino innovazione tra le imprese del settore agricolo e non solo risulta essere in molti casi molto arretrato.
Lo studio dei fattori che promuovono l’innovazione (risorse umane, sistema della ricerca, finanza e supporto, infrastrutture fisiche e digitali) evidenzia che l’Italia è il fanalino di coda nell’Unione Europea per la percentuale di popolazione con un livello di istruzione terziario (25%) – alle spalle della Romania – e soprattutto rispetto a un valore medio per l’Ue di poco inferiore al 40%. L'Italia si trova al 25° posto per numero di laureati in materie scientifiche, 1,4% mentre la media Ue è del 1,9%; 2,6% gli specialisti Ict (Information communication technology) quando in Europa la media è 3,7%.
Non va meglio per il sistema della ricerca che evidenzia un netto ritardo dell’Italia dovuto allo scarso supporto di investimenti pubblici in Ricerca e Sviluppo pari allo 0,54% del Pil quando la media Ue è superiore allo 0,7%. Roma investe in Ricerca la metà o quasi di Copenaghen, Stoccolma, Helsinki, Berlino, Praga e Amsterdam. Indicativo inoltre il numero di co-pubblicazioni scientifiche internazionali per milione di abitanti che Italia risulta essere di circa 552, mentre in Danimarca i valori sono quattro volte superiori. Il posizionamento dell’Italia per quanto riguarda la presenza di dottori di ricerca è piuttosto debole: ci sono 1,5 nuovi dottori di ricerca per ogni 1.000 abitanti che ricadono nella fascia di età tra 25 e 34 anni, un valore inferiore a quello medio europeo e che pone l’Italia sullo stesso piano delle economie (meno sviluppate) dell’Europa centro-orientale
Altro tema è l'inadeguatezza, e in alcuni casi la mancanza, di un sistema di infrastrutture avanzate, anche nel rapporto tra quelle fisiche e quelle a livello digitale. Se è vero che l’innovazione si sviluppa e diffonde più rapidamente all’interno di un sistema con infrastrutture avanzate, l’Italia è uno dei fanalini di coda dell’Ue in termini di numero di imprese che accedono ad internet con velocità oltre i 30 Mb/s (16%) e in posizione intermedia per quanto riguarda il rapporto tra i km di strade e ferrovie e la superficie totale (in Germania i sistemi di viabilità sono più estesi di circa il 60% rispetto all’Italia).

I limiti per lo sviluppo
Relativamente ai fattori abilitanti l’innovazione in agricoltura, lo studio di Nomisma ha evidenziato un “quadro che non migliora di molto”. Infatti, introdurre innovazione in azienda significa detenere competenze, limitata avversione al rischio, un orizzonte di operatività di medio-lungo periodo e risorse economiche in grado di realizzare investimenti. Tutti questi fattori risultano limitati nel tessuto produttivo agricolo italiano.
Solo il 6% dei conduttori agricoli italiani ha una formazione agraria completa rispetto al 15% dei colleghi tedeschi e al 29% dei francesi.
Solo il 77% degli abitanti delle zone rurali accede a Internet contro il 97% dei Paesi Bassi. L'elevata età media dei conduttori di aziende agricole mostra un ridotto orizzonte di attività: il 41% delle aziende sono gestite da over 65 e solo il 4% da under 35. In Francia, di contro, i giovani sono il doppio dell'Italia e i conduttori anziani solo il 15%. Peggio dell’Italia solo Regno Unito, Portogallo e Cipro.
Le dimensioni fisiche ed economiche medie delle aziende (12 ettari e 43.000 euro di valore della produzione) non permettono margini di investimento rilevanti. Anche in questo caso si registra una maggiore vicinanza alle strutture produttive che definiscono il panorama del sud-est Europa, molto distanti dagli assetti strutturali che caratterizzano i principali competitor (Spagna, Francia e Germania).
La spesa pubblica in Italia per la Ricerca & Sviluppo in agricoltura è di appena 4,5 euro a persona, rispetto ai 20,2 euro dell'Irlanda al tempo stesso, però, l’Italia è ai primi posti per quantità di investimenti per ettaro (1.041 euro).

L’appello per una vera agricoltura sostenibile
In questo quadro di affanno si inserisce l’appello dell’Associazione Luca Coscioni: “Le nuove biotecnologie verdi pongono problemi che interessano leggi e politiche nazionali ed europee fino ad arrivare agli obblighi internazionali. In Italia rappresentano un chiaro esempio di violazione del diritto della scienza, perché proprio come sugli Ogm anche sulle piante geneticamente editate non è possibile far ricerca in campo aperto. Mancando la sperimentazione, non è possibile immettere sul mercato prodotti sicuri che permettano di beneficiare delle più recenti ricerche. La ricerca scientifica italiana sulle biotecnologie verdi deve poter esser sperimentata in campo aperto".
Ed è proprio sulla ricerca che mette l’accento l’Associazione: “Da decine di Paesi iniziano ad arrivare studi che confermano la non pericolosità di queste nuove biotecnologie verdi, e che le piante così prodotte potrebbero essere portatrici di straordinarie potenzialità per un'agricoltura sempre più eco-sostenibile”.