Pmi, la ripresa si è fermata
Preoccupa il trend che sta vivendo il mondo delle Pmi italiane in questo periodo. Dopo cinque anni di lenta ma costante ripresa delle piccole e medie imprese, dal Rapporto Cerved Pmi 2019 presentato nei giorni scorsi a Milano, emergono una serie di segnali che suggeriscono la fine di questa fase positiva. Per la prima volta dal 2013, lo studio che analizza la situazione economico-finanziaria delle Piccole Medie Imprese, rivela che gli indici di redditività sono risultati in calo. Alcuni degli indicatori di demografia, come il numero delle nascite e i fallimenti delle Pmi, hanno evidenziato un’inversione di tendenza nella prima metà dell’anno. I ritardi nei pagamenti, dopo una lunga fase di miglioramento, hanno ripreso a crescere. Il comparto delle Pmi rimane solido ma dovrà affrontare nuove sfide con l’arrivo del Codice della Crisi delle Imprese.
Un futuro incerto
Nel 2018 la ripresa delle Pmi, che durava dal 2013, ha perso quello slancio che aveva fatto sperare in un futuro meno incerto. Il fatturato è cresciuto del 4,1% in termini nominali (dal 4,4% dell’anno precedente), ma è rimasto sostanzialmente ai livelli del 2017 in termini reali. Il rallentamento ha riguardato tutti i settori, ad eccezione delle costruzioni, che dopo anni di forte debolezza hanno evidenziato una crescita più sostenuta del resto dell’economia.
Anche il valore aggiunto è cresciuto (+4,1%) a ritmi più ridotti dei costi del lavoro (+5,6%), con effetti negativi sulla produttività e sui margini delle Pmi. La ripresa della redditività lorda si è quasi fermata: i margini lordi sono cresciuti dell’1,2% tra 2017 e 2018, rispetto al 3,2% dell’anno precedente. Il divario rispetto al periodo pre-crisi rimane molto ampio: le Pmi hanno livelli di margine operativo lordo ancora inferiori del 20% a quelli del 2007.
Nascono meno nuove imprese
Anche i dati relativi alla demografia di impresa indicano un indebolimento delle dinamiche, con segnali che meritano attenzione. Il numero di Pmi, dopo il positivo balzo del 2017 (+5,5%), ha continuato a crescere nel 2018 raggiungendo quota 161 mila, ma a ritmi più lenti (+2,9%). La dinamica positiva della natalità di impresa – il bacino da cui possono nascere nuove Pmi e che ha costituito un serbatoio importante per recuperare le ferite della crisi – ha fatto registrare un picco nel 2018, con un record di nuove società di capitale. Questo ha anche prodotto un aumento del numero di newco che si radicano sul mercato e del loro contribuito al sistema economico, che comunque rimane inferiore a quanto osservato prima della crisi.
Di contro, sul fronte delle uscite dal mercato, la fase di netto miglioramento è terminata: nel 2018 è di nuovo aumentato il numero di Pmi che hanno avviato procedure di default o di liquidazione, con una lieve inversione di tendenza nel 2019. Dopo essere tornati su livelli fisiologici, nel 2019 i fallimenti sono tornati ad aumentare, con incrementi più sostenuti nell’industria e nei servizi.
Redditività in calo
Gli indici di redditività delle Pmi risultano in diminuzione e questo non si verificava dal 2013. Il Rapporto Cerved evidenzia che si sono ridotti l’utile corrente ante-oneri finanziari, la redditività operativa, il Roi e – nonostante un ulteriore calo del peso degli oneri finanziari nei bilanci – la redditività netta, che è passata dall’11,7% del 2017 all’11% del 2018. Il calo dei margini ha riguardato in misura maggiore le medie imprese, le società agricole e quelle che operano nell’industria, che però mantengono indici superiori a quelli osservati nel resto dell’economia. I debiti finanziari sono cresciuti nel 2018 per il secondo anno consecutivo, con un’accelerazione rispetto al 2017 (+2,2% contro +1,2%). Parallelamente, le Pmi hanno rafforzato il capitale proprio a ritmi decisamente più sostenuti (+8,5%). Ne è seguita un’ulteriore riduzione del peso dei debiti finanziari in rapporto al capitale netto, sceso nel 2018 al 63% (dal 66% del 2017 e dal 116% del 2007). Nonostante il rallentamento della redditività, l’incidenza degli oneri finanziari sui margini lordi ha raggiunto un minimo storico, al 13%, grazie anche alla politica ultra espansiva della Bce.
Le informazioni sui pagamenti delle imprese rilevate da Cerved indicano che, dopo una lunga fase di miglioramento, nei primi sei mesi del 2019 sono tornati ad aumentare i ritardi e i tempi di pagamento delle Pmi. Tuttavia la presenza di aziende caratterizzate da una situazione di forte difficoltà – imprese che in media pagano i fornitori con ritardi superiori a due mesi – rimane bassa e lontana dai massimi osservati durante la recessione.
Un comparto sostanzialmente solido
La congiuntura economica continua a essere dominata dall’incertezza. Tra i principali timori sull’evoluzione del quadro economico internazionale permangono quelli sulla politica commerciale americana, che ha già avuto pesanti ripercussioni sull’economia mondiale, in particolare in Germania. L’economia italiana, una delle più fragili in Europa, ha subito il rallentamento dell’economia tedesca, a cui è fortemente legata da catene di sub-fornitura. Le attese sono di una crescita dell’economia italiana debole, al di sotto di un punto percentuale in termini reali nel prossimo triennio. Il rapporto Cerved evidenzia come queste dinamiche si riflettano sulle prospettive per le Pmi: “Secondo le previsioni, i fatturati segneranno una netta frenata nel 2019, per poi accelerare solo leggermente nel successivo biennio”.
Tuttavia, grazie anche a una struttura patrimoniale decisamente più solida, il rischio prospettico risulta in forte miglioramento: la quota di Pmi che hanno avuto un upgrade del Cerved Group Score (una valutazione che tiene conto di tutti i segnali di rischio di default di un’impresa) tra settembre 2019 e settembre 2018 è ai massimi e doppia il numero di downgrade. Dopo anni di polarizzazione crescente, in cui la distribuzione del Cerved Group Score faceva segnare un generale miglioramento, a cui però si accompagnava un leggero aumento della classe di rischio, tutta la distribuzione si sposta verso le classi meno rischiose, segno che il comparto continua ad essere sostanzialmente solido.
Cosa succederà con il Codice della Crisi
In un contesto di generale debolezza, le Pmi si troveranno ad affrontare nei prossimi mesi un’importante discontinuità, costituita dall’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi di Impresa.
Il nuovo Codice della crisi, dopo oltre settanta anni, ha riformato in modo organico la disciplina fallimentare e ha introdotto le procedure di allerta per favorire l’emersione precoce di situazioni di crisi. L’obiettivo è di favorire il risanamento di imprese che versano in una situazione di crisi temporanea e di rendere più rapida e meno costosa l’uscita dal mercato di aziende che invece sono in una situazione di crisi irreversibile.
Gli esperti Cerved prevedono che questo richiederà alle Pmi ingenti investimenti per dotarsi di sistemi e competenze di risk management e per adeguare la propria governance alle nuove normative. Si tratta però di uno snodo con la potenzialità di promuovere un cambiamento profondo per le società più piccole, generalmente caratterizzate da uno scarso livello di trasparenza e di autoconsapevolezza finanziaria. “Perché questo passaggio abbia successo, e i benefici superino i costi, è necessario investire informazione: delle imprese, che spesso non conoscono o non hanno compreso la portata dei cambiamenti; dei professionisti, che devono acquisire competenze di risk management e accompagnare gli imprenditori in questi cambiamenti” esortano gli esperti Cerved.