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Afghanistan, dal ritiro Usa alla faida tra i talebani

Con le casse dello Stato a secco, una popolazione alla fame e un vice-premier scomparso nel nulla, il destino del Paese è ancora drammaticamente avvolto dall’incertezza. E se l’Europa condanna gli abusi contro donne e dissidenti, gli Stati confinanti invitano a cooperare con il nuovo regime

Dopo il ritiro americano e il ritorno al potere dei talebani sono sorti interrogativi su quale sarà la forma con cui gli islamisti governeranno il Paese, così come sul recente mistero riguardante le sorti del vice premier mullah Abdul Ghani Baradar, che per molti analisti sarebbe il risultato di una faida interna ai talebani che non fa che aumentare l’incertezza sul futuro dell’Afghanistan.

Quale forma di governo prenderà il Paese

Secondo il professor Massimo Papa, docente di diritto dei Paesi islamici presso l’Università di Roma Tor Vergata, che ha parlato con l’agenzia di stampa Agi, in questo momento è difficile fare previsioni sul futuro della forma di Stato e sul governo che assumerà l’Afghanistan. “Inizialmente si era parlato di una guida suprema di natura religiosa, in base al quale il mullah Akhundzada avrebbe avuto poteri simili ma non uguali, a quelli dell’ayatollah Khamenei in Iran per indirizzare il Paese dal punto di vista religioso, affiancato da un governo incaricato di dare un indirizzo politico”.

Ma da quello che è emerso l’organizzazione talebana prevede che le decisioni sulle scelte politiche del governo sarebbero state poi sottoposte all’approvazione da parte del leader religioso. “Non dimentichiamo però – ha osservato il professore – che i finanziamenti dall’estero, in particolare dal Qatar, impongono un indirizzo politico-religioso e spingono per un’ideologia di Stato molto più vicina a quella dei Fratelli Musulmani e una islamizzazione delle istituzioni più accettabile per le potenze occidentali”.

Un vice premier scomparso nel nulla

Ma, come accennato, negli ultimi giorni la scomparsa del vice premier Baradar (forse morto) potrebbe essere secondo molti osservatori il risultato di una faida interna con il clan Haqqani. Secondo Massimo Papa, l’uscita di scena del volto più diplomatico dei talebani sarebbe “il risultato di una faida interna figlia di interessi eterodiretti. Una eventuale sconfitta di Baradar e l’affermazione degli intransigenti Haqqani è una crepa che può portare a una spaccatura che non giova a nessuno. Con il ritorno al potere, i talebani si sono affrettati a rassicurare la comunità internazionale per non rimanere isolati. Questa faida però va nella direzione opposta e impone la ricerca di una soluzione. I grandi attori in campo, esattamente come i talebani, hanno interesse a un riconoscimento che porti alla stabilizzazione”.

Il dramma umanitario: la popolazione è alla fame


Parallelamente ai problemi geopolitici c’è poi il dramma umanitario già in atto. Le milizie talebane riescono a sostenersi attraverso l’imposizione di dazi e il commercio di oppio. Ora il problema è quello della capacità dello Stato di fornire beni di prima necessità a una popolazione stremata: gli impiegati pubblici, ad esempio sono da mesi senza stipendio, mentre sempre più persone, spinte dalla mancanza oggettiva di forme di sostentamento, provano a lasciare il Paese.

Riaprono le scuole, ma solo per i maschi

In questo contesto, il 17 settembre il ministero dell’Educazione dei talebani ha annunciato la riapertura delle scuole primaria, media e superiore “solo per gli studenti maschi”. La nota dei talebani si rivolge agli allievi di istituti pubblici e privati e ai soli insegnanti uomini, mentre non c’è alcun riferimento alla riapertura delle scuole per le bambine e le ragazze. Secondo la ex vicepresidente del parlamento afgano, Fawzia Koofi, nota attivista per i diritti delle donne questo annuncio “è contrario a ciò che i talebani avevano detto finora e contraddice il primo verso del nostro Profeta, che è rivolto sia ai ragazzi che alle ragazze”, ha commentato su Twitter.

Contrastare i vizi, promuovere le virtù. E oscurare le donne

I talebani hanno inoltre rimosso le insegne del ministero per le Donne e gli Affari femminili a Kabul, sostituendole con quelle del dicastero per la prevenzione dei Vizi e la promozione delle Virtù. Numerose le immagini condivise su Twitter delle dipendenti del ministero che protestavano fuori dall’edificio, affermando di aver perso il lavoro dopo la chiusura del dicastero.
Il ministero per la prevenzione del Vizio e la promozione della Virtù era dotato, negli anni del primo governo talebano, di una polizia nota per la dura repressione nei confronti delle donne, spesso frustate pubblicamente se trovate a camminare in strada senza un accompagnatore di sesso maschile. Nel mirino anche gli uomini, obbligati a non tagliarsi la barba. La temuta polizia era incaricata di far rispettare una rigida applicazione della sharia, la legge islamica.

L’Europa condanna le violazioni segnalate nel Paese

La comunità internazionale è ancora alla finestra per capire come comportarsi con il nuovo regime afghano. Il Parlamento europeo, il 16 settembre scorso, ha approvato una risoluzione con cui “deplora la presa di potere violenta dell’Afghanistan, chiede maggiori aiuti umanitari e una risposta coordinata per proteggere i più vulnerabili”. il Parlamento chiede all’Unione europea e ai suoi Stati membri di collaborare per agevolare l’ulteriore evacuazione dei cittadini Ue e degli afghani a rischio, “in particolare ricorrendo ai corridoi sicuri a disposizione”. Gli europarlamentari si dicono “sconcertati per le violazioni segnalate di esecuzioni di civili e membri delle forze di sicurezza nazionale afghane, per il reclutamento di bambini soldato, la repressione delle proteste pacifiche e delle espressioni di dissenso e le restrizioni dei diritti umani imposte in particolare nei confronti di donne e ragazzi. I deputati – si legge in una nota – sottolineano che la maggior parte dei rifugiati afghani cercheranno protezione nei Paesi vicini. L’Ue dovrebbe quindi sostenere questi Paesi e agevolare la creazione di corridoi umanitari per la fornitura di aiuti alimentari, acqua, servizi igienico-sanitari e medicinali. Tuttavia, ciò non può costituire un’alternativa a una vera e propria politica europea in materia di asilo e migrazione, che dovrebbe concentrarsi sul reinsediamento delle persone più a rischio e più vulnerabili e includere un programma speciale di visti per le donne afghane che cercano protezione dal regime talebano”.
Beniamino Musto

I Paesi confinanti pronto a cooperare con i talebani

Diversa la visione di altri attori geopolitici di primo piano. A partire dalla Russia. Il presidente russo, Vladimir Putin, parlando al vertice della Shanghai Cooperation Organization (Sco) che si è tenuto a Dushanbe, in Tagikistan il 17 settembre, ha detto che “il cambio di potere è avvenuto in modo quasi incruento”, e i talebani dovrebbero essere “incoraggiati ad attuare le proprie promesse, stabilire la pace, normalizzare la vita pubblica e garantire la sicurezza per tutti”.
Sempre nel corso dello stesso vertice, la Cina, per bocca del ministro degli Esteri Wang Yi, ha chiesto a Russia, Iran e Pakistan di “rafforzare la comunicazione e la cooperazione, dare una voce comune ed esercitare influenza positiva” sulla questione afghana per promuovere la “transizione graduale” e “prevenire il caos, mantenere la stabilità e ridurre il terrorismo”
E c’è chi si spinge anche oltre, come il presidente uzbeko Shavkat Mirziyoyev che ha lanciato un appello alla comunità internazionale per sbloccare gli asset dell’Afghanistan congelati in banche estere in modo da facilitare il dialogo con il governo dei talebani. Il capo di Stato dell’Uzbekistan ha sottolineato l’importanza di tenere un dialogo con il governo di Kabul anche in chiave di lotta al terrorismo. “Considerando la situazione umanitaria, proponiamo di guardare alla possibilità di scongelare i conti dell’Afghanistan in banche straniere”: fondi per circa nove miliardi di dollari appartenenti alla Banca centrale afghana bloccati dall’amministrazione Usa e dal Fondo monetario internazionale.