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Italia protagonista dell’export

Dopo anni di costante crescita, il nostro paese si trova ora tra i primi esportatori a livello globale. Il merito è di imprese di qualità ben collocate nelle filiere globali, ma il rischio ora arriva dalla crisi dell’auto e dalle tensioni geopolitiche

Durante l’estate è arrivata la notizia che l’Italia ha raggiunto il Giappone al quarto posto nel mondo per valore delle esportazioni, dietro a Cina, Stati Uniti e Germania. Siamo in un anno olimpico e lo spirito competitivo è particolarmente vivace, ma il tema non è fare a gara tra chi fa i numeri migliori quanto vedere riconosciuto il sistema produttivo italiano in un contesto di competitività e apprezzamento per le sue caratteristiche. A livello globale il commercio sta crescendo meno degli ultimi anni e a guidarlo sono ancora le economie dei paesi asiatici emergenti, capitanati dalla Cina, mentre le economie avanzate sono in affanno, Giappone incluso. La parità tra l’Italia e il paese del Sol levante è arrivata perché il nostro export tiene ancora e nel primo trimestre di quest’anno è calato meno (-1,5% sullo stesso periodo del 2023) di quello giapponese (-3%). Il traguardo raggiunto dal nostro paese è importante perché mostra un rafforzamento e una crescita tendenziale nell’ultimo decennio, in cui già Cina e Corea del sud erano presenti come forze economiche.

Secondo l’Osservatorio economico del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale su dati Istat, nel 2023 tra i paesi dell’Unione Europea l’Italia è stata il secondo esportatore con 626 miliardi di euro, dietro alla Germania (1.589 miliardi) ma davanti alla Francia (599 miliardi) e al Belgio (522 miliardi). Un discorso a parte va fatto per i Paesi Bassi, che risulterebbero i secondi esportatori (864 miliardi) ma il dato riflette soprattutto la centralità dei loro porti nell’accogliere e rispedire merci, e meno l’effettiva capacità di produrre ed esportare.


Dove esportano le aziende italiane

La Germania è il primo paese di destinazione delle merci italiane (nel 2023 è finito qui l’11,9% delle esportazioni, 0,5 punti in meno rispetto 2022) e quindi la crisi di produzione della maggiore economia del continente non può non andare a influire sui risultati delle aziende italiane, specialmente nel settore dell’automotive. La seconda mèta dell’export nostrano sono gli Stati Uniti, in crescita costante negli ultimi anni, con una quota del 10,7% nel 2023 dopo il 10,4% del 2022: nei primi 5 mesi di quest’anno le merci finite oltreoceano sono cresciute del 5,8%, andando a compensare in parte le perdite sul mercato tedesco nello stesso periodo (-6,3%). Al terzo posto si colloca il mercato francese (10,1% delle esportazioni sia nel ‘22 che nel ‘23), seguito da Spagna, Svizzera, Regno Unito e Polonia. La Cina, che si contende con gli Usa il primo posto come economia più forte a livello globale, era all’8° posto nella classifica del 2023 dei paesi destinatari, alla pari con il Belgio, ma i primi mesi di quest’anno stanno tracciando la via di un progressivo calo (3,7% a maggio ‘23, 3,1% a dicembre ‘23, 2,5% a maggio ‘24). Nel complesso, lo scorso anno l’Italia ha raggiunto un saldo commerciale (differenza export – import) positivo, pari a 34 miliardi. Guardando ai settori produttivi, ai primi posti ci sono metalmeccanica, farmaceutica e chimica, automotive, abbigliamento, calzature e pelletteria.

Allungando la visione alla prima metà del 2024, Istat parla di un quadro di stabilità ma con una contrazione delle vendite verso i paesi dell’Unione Europea compensata da un’espansione verso le altre aree geografiche.


Le minacce per i prossimi mesi

Il contesto in cui operano le imprese italiane oggi non è comunque dei migliori e questo fa temere per i risultati dei prossimi mesi. Il sistema produttivo sembra aver tratto beneficio negli ultimi anni dalla tendenza delle imprese ad accorciare le proprie catene di fornitura, ricercando fornitori geograficamente più prossimi rispetto al lontano oriente e che potessero garantire qualità nella produzione, flessibilità, rispetto delle normative, costi relativamente contenuti. Dall’altro lato, le aziende stanno facendo i conti con i costi delle transizioni energetica e digitale e con la contrazione dei consumi in tutta Europa determinata dall’inflazione (situazioni che sono in via di stabilizzazione) mentre le grandi incognite a oggi sono rappresentate dalle tenzioni geopolitiche e dalla crisi dell’automobile in Europa.