I benefici dello smart working sul sistema impresa Italia
Abbandonare le modalità lavorative tradizionali, considerando l’attività professionale come non più vincolata a luoghi, orari, strumenti: questo è in sintesi lo smart working, un’evoluzione che potrebbe portare enormi vantaggi a lavoratori e imprese, nonché alla società intera. Oggi le persone coinvolte in questo fenomeno in Italia sono, stando all’Osservatorio dedicato al tema del Politecnico di Milano, l’8% del totale (circa 305.000), ma la platea potenziale arriva ad almeno 5 milioni. La strada è lunga, ma i segnali sono incoraggianti: rispetto al 2016, quest’anno il numero di lavoratori agili è cresciuto del 14%, addirittura del 60% confrontando le più recenti rilevazioni con quelle del 2013. L’ampliata autonomia nella scelta delle modalità di lavoro si traduce non solo in maggiore soddisfazione per la propria condizione professionale ma anche in un aumento di produttività, mediamente del 15%. Se il tessuto imprenditoriale del nostro Paese riuscisse a sfruttare a pieno il potenziale dello smart working, ne guadagnerebbe 13,7 miliardi di euro.
Le aziende più “smart” sono quelle più strutturate
Oltre la metà delle grandi imprese italiane ha già avviato o sta per lanciare iniziative di lavoro agile, nella maggior parte dei casi (36%) con programmi strutturati, che riguardano cioè almeno due delle leve di progettazione tra flessibilità di luogo, di orario, ripensamento degli spazi, cultura orientata ai risultati e dotazione tecnologica adeguata per lavorare da remoto. Le grandi imprese sembrano avviate verso una concezione di smart working a raggio ampio, un vero e proprio ripensamento complessivo dell’organizzazione del lavoro, che riguarda anche lo sviluppo di nuovi strumenti e competenze digitali e la diffusione di modelli manageriali basati su autonomia e responsabilizzazione sui risultati. Oggi questa è una realtà che riguarda appena il 9% delle grandi aziende italiane, ma il trend per i prossimi tre anni si prevede in forte crescita.
I retaggi tradizionali frenano le pmi
Nelle piccole e medie imprese, che ricordiamo costituiscono la maggior parte del tessuto industriale italiano, lo smart working è ancora un fenomeno emergente. Solo in sette realtà su cento è declinato con iniziative strutturate, mentre nel 15% dei casi è presente in modo informale. C’è però un discreto interesse, le cui motivazioni guida sono principalmente il miglioramento della produttività e della qualità del lavoro, del benessere organizzativo e della conciliazione tra vita privata e professionale. Le meno propense a sviluppare il lavoro agile sono, per ovvie limitazioni nell’applicabilità delle pratiche di smart working, le aziende dei settori manifatturiero, costruttivo, del commercio e dell’hospitality & travel, che però nell’insieme rappresentano il 40% delle pmi italiane, una percentuale tutt’altro che irrilevante. Una delle sfide per il prossimo futuro sarà anche cercare di trovare nuove declinazioni del lavoro agile, applicabili a questi settori più legati alle modalità lavorative tradizionali.
Pubblica amministrazione a due velocità
Nonostante gli apprezzabili sforzi a livello normativo – la legge sul Lavoro Agile è stata approvata e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 22 maggio di quest’anno - progetti strutturati di smart working sono presenti soltanto nel 5% delle pubbliche amministrazioni, mentre una percentuale simile (4%) lo applica in modo informale. Se quasi la metà delle realtà coinvolte nella ricerca è convinta che il lavoro agile la coinvolgerà direttamente nei prossimi mesi, il 32% ammette esplicitamente assenza di interesse. Le motivazioni principali sono la convinzione che non si possa applicare alla propria realtà, la percezione di carenze di normativa o regolamentazione sul tema e il limitato livello di digitalizzazione dei processi. Anche qui, come nel settore privato, sono gli enti di maggiori dimensioni i più propensi ad approcciare nuove modalità lavorative.