Isis, la minaccia è “concreta e attuale”
La notizia è di pochi giorni fa: la procura di Torino ha spiccato un’ordinanza di custodia cautelare contro tre tunisini, già agli arresti domiciliari con l’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti, per presunti legami con organizzazioni terroristiche di matrice islamica. Secondo i risultati dell’inchiesta Taliban, realizzata dai carabinieri del Ros, i tre indagati farebbero parte di un più ampio gruppo di foreign fighters e potenziali lone wolf affiliati ad Ansar al-Sharia: due membri della fazione sarebbero morti in Siria combattendo fra le fila dell’Isis, mentre altri due si troverebbero attualmente all’estero. Per i tre indagati l’accusa è di associazione finalizzata al terrorismo internazionale.
Basterebbe questo per comprendere quanto la minaccia terroristica resti attuale nel nostro Paese. Una centralità emersa anche all’interno della relazione annuale del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, in cui i responsabili dell’intelligence hanno fatto il punto sui rischi (terroristici, ma non solo) che incombono sul nostro Paese. Stando alle evidenze degli 007, la minaccia terroristica è “concreta e attuale”. L'Italia sarebbe oggetto “dell’attività propagandistica ostile di Daesh”, contando sul nostro territorio “soggetti radicalizzati – tra i quali islamonauti italofoni – o comunque esposti a processi di radicalizzazione”. I pericoli maggiori, stando alle evidenze della relazione, risiederebbero in “estremisti homegrown, mossi da motivazioni e spinte autonome o pilotati da registi del terrore”.
Che il nostro Paese occupi un posto centrale nella narrativa jihadista, teatro di quell’ultima battaglia che dovrebbe portare, secondo alcuni filoni della tradizione, al vittoria dell’Islam, è cosa nota. Altrettanto nota è l’attività di reclutamento e indottrinamento di potenziali terroristi che storicamente si verifica nel nostro Paese. Italiano (per la precisione, italo-marocchino) era per esempio quello Youssef Zaghba che fu protagonista, insieme ad altri due complici, della folle corsa in furgone sul London Bridge lo scorso giugno. E altri 129, secondo alcune stime, sarebbero i foreign fighters che avrebbero avuto a che fare con il nostro Paese. Nell’anno appena concluso non si sarebbero verificate nuove partenze verso teatri di guerra, ma il pericolo rimane.
Tra propaganda e appelli
Il rischio, insomma, c’è. E a poco serve rifugiarsi nel fatto che l’Italia, almeno finora, non sia stata colpita da alcun attentato terroristico di matrice islamica. O che, ancora, l’autoproclamato Califfato abbia perso terreno in Siria e Iraq. Anzi, forse proprio per questo motivo, avverte l’intelligence, lo Stato Islamico potrà nei prossimi mesi tentare un colpo di coda e reclutare nuovi affiliati in Europa e Medio Oriente. “Daesh ha potenziato la propria azione di propaganda a sostegno del jihad individuale, invitando i sostenitori a intensificare ulteriormente gli attacchi sia in Syrak (crasi per Siria e Iraq, ndr) che in altre aree geografiche”, si legge nella relazione. Che poi aggiunge, ricordando i 18 attentati che si sono verificati nel 2017 nel nostro Continente: “Questi appelli hanno provocato iniziative che hanno interessato in modo rilevante anche l'Europa e, più in generale, obiettivi occidentali”. Preoccupano anche i segnali di un ritrovato protagonismo di al-Qaeda, desiderosa di ritornare al centro della scena jihadista dopo anni all’ombra dell’Isis.
Istigazione non solo on line
Nel mirino degli 007 italiani c’è soprattutto la propaganda online. Messaggi di natura ostile, vergati anche nella nostra lingua, che possono generare nel tempo una “pressione di natura istigatoria” e coniugarsi all’attivismo di affiliati “impegnati a diversi livelli: dal proselitismo di base a più significativi contatti con omologhi e militanti attivi all'estero, compresi foreign fighters e soggetti espulsi dall'Italia per motivi di sicurezza”. La relazione, a tal proposito, cita esempi della “forza persuasiva della propaganda jihadista, in grado di innescare derive violente in persone apparentemente integrate ma in realtà preda di instabilità emotiva e dissociazione identitaria o religiosa”.
Non solo online: l’intelligence alza l’allerta anche sui processi di radicalizzazione che possono verificarsi nelle reti informali, come famiglia e amici. L’attenzione è massima in centri di aggregazione e carceri, divenuti ormai “fertile terreno di coltura per il virus jihadista, diffuso da estremisti in stato di detenzione”.