Le Pmi trainano il Mezzogiorno
Le Pmi si candidano ad essere la locomotiva della ripresa economica del Sud Italia. Il quarto Rapporto Pmi Mezzogiorno, curato da Confindustria e Cerved, con la collaborazione di Srm – Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, mostra un Mezzogiorno dinamico e ambizioso. Nulla a che fare con la classica immagine di area più depressa d’Italia. La ricerca segue l’andamento di un campione di 26.000 Pmi tra 10 e 250 addetti, che insieme valgono oltre 130 miliardi di euro di fatturato, con 30 miliardi di valore aggiunto, pari al 10% di tutto il Pil del Mezzogiorno. Nel complesso, il numero delle Pmi nel Sud Italia è cresciuto del 4,1% nel 2016 rispetto all’anno precedente, un valore superiore di 0,5 punti percentuali rispetto alla media nazionale. Considerevole è anche l’aumento del fatturato, che con un +2,7% tra il 2015 e il 2016 è tornato sui livelli pre-crisi. Restano forti problemi nella redditività lorda, che pur crescendo dell’1,6% annuo, rimane ancora sotto di 30 punti percentuali rispetto ai livelli del 2007. Cresce anche la redditività netta, che tuttavia resta inferiore alla media nazionale.
Aumentano le piccolissime imprese
Secondo i dati di Confindustria, rispetto ai valori pre-crisi, mancano ancora all’appello circa 2 .000 piccole e medie imprese, ma i dati incrociati di nascite e cessazioni, sembrano portare il rapporto tra nascite e cessazioni del sistema economico meridionale su “livelli fisiologici”. Netto il calo dei fallimenti (-25% tra 2016 e 2017), di procedure concorsuali (-18%) e di chiusure volontarie. La natalità segna numeri record, con 35 mila nuove imprese in un anno, che tuttavia nascondono un problema: oltre la metà delle nuove nate sono Srl semplificate (con meno di 5000 euro di capitale), e in larghissima parte piccolissime imprese. Un sistema economico che rischia di essere fragile, se le imprese non seguiranno una strategia che le porti nel giro di pochi anni al salto dimensionale. In questa prospettiva, dati incoraggianti arrivano dalla forte crescita della capitalizzazione (+5,3% tra 2016 e 2015), che consente alle Pmi meridionali di rendere più sostenibili il debito. Anche la riduzione dei tassi di interesse rende meno gravosi gli oneri finanziari.
Un potenziale da 9,4 miliardi di investimenti
La robustezza dell’apparato è confermata dalla crescita di imprese considerate sicure o solvibili, che passano dal 40% al 48,4%. Inoltre le Pmi che migliorano la propria classe di rischio (il 35,6%) superano di dieci punti quelle che la vedono peggiorare (25,6%). In tutte le regioni meridionali crescono gli investimenti. In particolare, tra 2015 e 2016 gli investimenti materiali lordi delle Pmi meridionali superano di 0,7 punti percentuali la media nazionale. Secondo il report, le circa 7.000 piccole e medie imprese meridionali più solide potrebbero aumentare il proprio indebitamento fino a 9,4 miliardi di euro, mantenendo un livello di rischio molto contenuto. Un simile investimento porterebbe a un forte aumento della produttività. Secondo Confindustria e Cerved, tuttavia, resta l’incognita del peso delle diseconomie esterne, che limita le performance soprattutto delle imprese di capitali. Sono infatti le imprese industriali ad aver risentito maggiormente della crisi. Netta l’inversione di tendenza: il loro fatturato è cresciuto al Sud del 4,8% (2016), quasi il doppio del complesso delle Pmi dell’area, e più della media nazionale (3,1%).
Prospettive moderatamente positive
L’insieme dei dati del Rapporto Pmi Mezzogiorno è sicuramente incoraggiante. Eppure, secondo Confindustria e Cerved le prospettive delle Pmi meridionali restano “moderatamente positive”. La motivazione di questa prudente valutazione deriva dal tasso di crescita dei valori evidenziati. Il segno positivo non basta ancora a migliorare la situazione complessiva del Sud. Per questo gli industriali parlano di sfide di lungo periodo, che riguardano soprattutto l’accesso alle fonti di finanziamento, non solo bancario. Occorre inoltre migliorare l’utilizzo dei fondi europei, per ridurre le diseconomie territoriali. In questa direzione, resta centrale il ruolo delle istituzioni.