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Economia 4.0, la rivoluzione è appena cominciata

Processi aziendali più rapidi, migliore conoscenza dei comportamenti dei clienti, servizi personalizzati. Il digitale è un’onda che sta rinnovando tutti i settori. Un confronto tra top manager fa emergere uno scenario inedito, ricco di nuove opportunità

Disruptive, quanto basta per costringere a rivedere i paradigmi dell’economia. Dal commercio, all’industria manifatturiera, fino alla finanza. Non c’è settore che non sia travolto dallo tsunami della digitalizzazione. Il tema è di grande attualità nel nostro Paese, visto che nei giorni scorsi sono stati firmati i decreti attuativi che rendono operativi i benefici fiscali per le imprese che investono nell’industria 4.0. Una sfida per il mercato del lavoro, perché può creare nuovi problemi all’incontro tra domanda e offerta. “Per Confindustria nei prossimi anni le imprese faticheranno a trovare 280.000 tecnici” ha detto Marco Taisch, docente del Politecnico di Milano, in occasione di X.0: Xtraordinary Xcutive, Xchange Xperience, un evento organizzato da Capgemini il 10 maggio al teatro Vetra di Milano. L’evento è stato introdotto da Andrea Falleni, amministratore delegato di Capgemini, che ha introdotto i tre pilastri fondamentali del cambiamento in corso nelle imprese: la customer experience (con l’omnicanalità), il processo di evoluzione delle operations, e i nuovi modelli di business. Fattori che non possono essere divisi perché, ha sottolineato Falleni “la condizione per una vera trasformazione è un approccio olistico”. Il processo in corso è appena cominciato, ma sta già incidendo radicalmente sui modelli di gestione aziendale. “La tecnologia muta con una velocità impressionante, rimpiazza e reinventa i processi operativi - ha detto Bianca Granetto, managing vice president di Gartner. - All’interno delle aziende cambia anche il bisogno di nuove competenze e nuovi ruoli. Diventa strategico il lavoro innovativo dei chief data officer e nasce l’esigenza di dotarsi di responsabili dei sistemi informativi, mentre attività come quelle dei cfo devono essere ripensate per affrontare nuovi rischi”. 

Processi più veloci nel manifatturiero
“La digitalizzazione è una frontiera che segue quella dell’automazione industriale, resa interconnessa e intelligente” ha detto Sandro De Poli, presidente e amministratore delegato di GE Italia e Israele. De Poli ha sottolineato i vantaggi dell’innovazione nei processi produttivi della propria impresa. “Da quando abbiamo digitalizzato le apparecchiature automatiche – ha detto - possiamo monitorare in tempo reale il loro lavoro, con vantaggi consistenti in termini di compressione dei tempi. Per processi produttivi che durano settimane, una riduzione dei tempi significa anche una importante riduzione dei costi”. Lo scenario vede l’introduzione di tecnologie additive per produrre motori, con importante impatto anche sul livello di emissioni. Tutto questo, secondo De Poli, sta cambiando il valore della tradizione, tipico del settore manifatturiero: non conta più da quanto tempo si produce un prodotto, perché le nuove tecnologie stanno cambiando i processi di produzione. Come ha testimoniato Ernesto Ferrario, ad Electrolux Italia. “I sistemi di visione 3D oggi costano dieci volte meno rispetto a dieci anni fa” ha detto Ferrario sottolineando anche come la digitalizzazione stia consentendo di controllare i cablaggi di una macchina in pochi secondi. “O impariamo ad essere più veloci degli altri, oppure saremo destinati a chiudere. Fare lavatrici oggi è come fare telefoni: ogni sei mesi serve un modello nuovo” ha ricordato Ferrario che ha evidenziato come i costi dell’innovazione siano un fattore di grande attenzione non solo per le imprese più grandi, ma soprattutto per le Pmi, che stentano a trovare risorse per digitalizzare tutti i processi. “Occorre prima di tutto stabilire dove la digitalizzazione può dare maggiori benefici nel processo produttivo: successivamente la criticità sarà individuare esattamente quale sia il software migliore disponibile sul mercato”, ha concluso Ferrario. 

Commercio, la parola chiave è experience
Toccare con mano un prodotto rappresenta ancora il grande vantaggio dei negozi tradizionali. Eppure la digitalizzazione sta rendendo la domanda sempre più esigente, soprattutto in termini di omnicanalità. Per Giorgio Santambrogio, ad del gruppo Végé, la diffusione del commercio elettronico sta impattando anche sulla gdo. “Nel settore alimentare – ha detto Santambrogio - sta saltando la filiera, perché tutti vogliono andare direttamente dal consumatore finale”. Una confusione che favorisce chi lavora meglio. Così, per trattenere i clienti, la ricetta di Santambrogio è “riportare il piacere di fare la spesa, con l’utilizzo di food consultant nei supermercati, personale specializzato ad orientare le scelte dei consumatori, attraverso una approfondita conoscenza degli ingredienti e della provenienza dei prodotti sullo scaffale”. Si punta quindi a trasformare l’esperienza del consumo, per far fronte a quello che Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano, chiama “integralismo digitale”, o “deriva ipertecnologica”. Secondo Noci, tutti i principali player tecnologici non vincono sul mercato semplicemente perché offrono prodotti innovativi, ma soprattutto perché sanno rispondere ai bisogni delle persone. “Per questo tutti stanno puntano sulla casa: è il luogo dove maturano i bisogni” ha sottolineato Noci. In questa prospettiva - ha concluso - un point of presence può essere un point of sale a condizione di esaltare la polisensorialità”. Ma i negozi dovranno diventare luoghi dove si maturano esperienze, per poi promuovere la vendita anche su altri canali. Una strategia che è stata confermata da Eugenio Sidoli, presidente e ad di Phililp Morris Italia, azienda che oggi punta a diventare leader del settore “non fumo”, grazie al ruolo di punti di esperienza. 

Assicurazioni e banche valorizzano la customer experience
Avvicinarsi sempre di più ai clienti, alle loro esigenze, per poter dialogare e avere risposte quando ne ha bisogno. Marco Sesana, country manager e amministratore delegato di Generali Italia, e Luca Vanetti, responsabile digital & omnichannel banking di Bpm, hanno mostrato lo scenario del settore assicurativo e bancario. Per le compagnie di assicurazione il digitale è un’esperienza abbastanza recente, soprattutto se paragonata al settore bancario. Per Generali, l’innovazione digitale è partita nel 2016, puntando sulla customer experience. “L’IoT è una realtà che ci consente di mettere sul mercato polizze connesse, che scambiano dati con i clienti in tempo reale” ha detto Sesana. “Si apre così – ha continuato - un mondo di servizi, di prevenzione ed educazione dei comportamenti: abbiamo la possibilità di capirli, dando feedback personalizzati”. L’ad di Generali Italia ha fatto l’esempio della black box sulle auto, che consente alla compagnia di dare consigli sulle modalità di guida, grazie alla conoscenza del comportamento del cliente al volante. Sesana ha sottolineato che il cambiamento digitale di Generali è un percorso che sta coinvolgendo tutta la compagnia, in un percorso di storytelling. “Abbiamo raccontato ai nostri dipendenti che stiamo cambiando, li abbiamo formati, fatti lavorare in modo trasversale. Nei gruppi di lavoro abbiamo messo insieme agenti e clienti”. Gli intermediari sono quindi parte attiva del cambiamento: “Hanno capito – ha detto Sesana - il valore della trasformazione, perché con gli strumenti digitali possono essere più efficaci”. Detto altrimenti, l’innovazione per Generali non sarà sinonimo di disintermediazione. Inoltre, la compagnia 4.0 sta vedendo nascere nuove figure e funzioni aziendali, che prima non c’erano nell’organizzazione, come i data scientist e i designer, che aiutano a disegnare il servizio e la metodologia di lavoro. Infine, è nata la customer advocacy. “Sono competenze che non avevamo” ha ammesso Sesana, che ha ricordato che la compagnia dovrà riuscire a trattenere in azienda i profili tecnici più innovativi, perché il mercato del lavoro sta diventando fortemente competitivo. La sfida riguarda anche il mondo bancario. Per Luca Vanetti il settore deve essere in grado di intercettare le esigenze della clientela. “Molte filiali stanno chiudendo, mentre molte altre sono in evoluzione per rispondere ai nuovi bisogni, attraverso una presenza dei colleghi sul territorio”. In questo contesto, Vanetti ha sottolineato che, oltre al digitale, le banche devono ancora affrontare il legame con una clientela legata a un rapporto tradizionale con le filiali. “Più del 50% della clientela ancora non fa operazioni online, quindi c’è bisogno di educazione del comportamento e affiancamento per la clientela” ha concluso Vanetti.