Da Quota100 l’opportunità di cambiare la PA
Pensionamenti e Quota100 possono diventare l’occasione per l’atteso rinnovamento della pubblica amministrazione italiana. Non è solo questione di persone, naturalmente, la PA italiana ha bisogno di contare su strumenti e infrastrutture al passo con l’Agenda Digitale, e di efficientare i processi interni: tre fattori che, uniti, possono contribuire a migliorare la performance del Sistema Paese.
Su questo tema, il Forum PA 2019, organizzato da Fpa, società del gruppo Digital360, è stato l’occasione per fare il punto sul pubblico impiego di oggi e per ragionare su una nuova logica delle politiche di reclutamento: uscire dai meccanismi schematici consolidati e rispondere invece alle esigenze di un maggiore efficientamento, in accordo con tre direttrici rappresentate delle politiche di governo delle amministrazioni, dal piano delle performance e dal piano dei fabbisogni.
Punto di partenza è stata la ricerca sul pubblico impiego “Una PA che crea valore pubblico investe sulle sue persone”, realizzata da Fpa Data Insight, che ha fornito la fotografia di un settore dove il rinnovamento del personale si abbatterà come un ciclone. L’età media dei dipendenti pubblici nel 2017 era di 50,6 anni contro i 43,5 del 2001. Le limitazioni al ricambio di personale del recente passato hanno prodotto uno spostamento verso età più elevate e gli over 60, che erano il 4% nel 2001, sono diventati il 16,4% nel 2017, mentre i giovani sotto i 30 che erano oltre il 10% nel 2001, contavano per il 2,8% nel 2017, praticamente tutti nelle forze armate.
Un rischio da gestire la fase di ricambio
Per l’effetto di pensioni di vecchiaia, “Opzione donna”, pensioni anticipate e “Quota 100” (per cui si stimano 100mila richieste entro l’anno) nei prossimi 3-4 anni circa 500mila dipendenti pubblici avranno maturato i requisiti per ritirarsi dal lavoro, ma potranno essere sostituiti da nuovo personale grazie allo sblocco del turn over di compensazione al 100%. Il ricambio porterà nell’immediato qualche problema di gestione dell’uscita per settori in sottorganico come sanità e scuola (nei quali si stima solo per il pensionamento per requisiti anagrafici l’uscita rispettivamente di 100mila e 204mila persone) e per i comuni ed enti che non rispettano il pareggio di bilancio, ma rappresenterà una concreta opportunità di rinnovamento con l’inserimento di risorse più giovani, formate e motivate.
Il punto di partenza vede una pubblica amministrazione sotto organico rispetto sia alle esigenze italiane sia nel confronto diretto con i maggiori paesi europei: la forza lavoro complessiva del settore pubblico conta oggi 3,2 milioni di persone, quasi 200.000 in meno rispetto al 2008 (-5,6%), un calo di cui hanno risentito in primo luogo le amministrazioni delle Regioni e delle autonomie locali (87mila dipendenti in meno), la sanità (43mila) e i ministeri (33mila). Nel confronto con i paesi Ue, l’Italia ha il 70% dei dipendenti pubblici rispetto alla Germania, il 65% rispetto all’Inghilterra, il 60% della Francia: per raggiungere le dotazioni organiche stimate come adeguate ai carichi di lavoro attuali servirebbe assumere oltre 250 mila persone in più delle attuali.
Rivedere retribuzioni e motivazioni
Anche nel confronto con le retribuzioni il nostro paese risulta indietro: secondo i dati del DEF 2019, la spesa per lavoro dipendente della PA nel 2018 è stata di 171,8 miliardi di euro, 5 in più del 2017 dovuti principalmente a rinnovi contrattuali. Va però considerato che dal 2007 al 2017, tra rinnovi contrattuali congelati, limitazione del turn over e blocco ai riconoscimenti economici per le progressioni di carriera, erano stati risparmiati 7,5 miliardi, tanto che la retribuzione media risulta sostanzialmente invariata dal 2009, con oltre 3.000 euro in meno rispetto al solo recupero del potere d’acquisto. Ciascun dipendente in Italia costa oggi in media 49.000 euro l’anno, meno dei 50.000 dei francesi e tedeschi, più di quelli inglesi 43.000 e spagnoli 40.000.
“Per creare valore pubblico, la PA deve innanzitutto investire sulle proprie persone – ha affermato Carlo Mochi Sismondi, presidente di Fpa –. Deve diventare più giovane, più qualificata, libera di misurare e valutare il personale, capace di premiarlo e motivarlo, agendo sulla cultura dei dipendenti e ripensando i modelli organizzativi. Per fare questo, le amministrazioni devono definire le risorse umane necessarie sulla base di una programmazione dei fabbisogni secondo principi qualitativi e prospettici, non quantitativi o legati all’organico storico. Devono attrarre i migliori talenti e dare possibilità di crescita con una politica di employer branding, un miglioramento dei salari medi e un nuovo approccio di sviluppo del personale”.
L’obiettivo deve essere di rifondare una pubblica amministrazione sulle basi di efficienza, motivazione e digitalizzazione, un cambiamento necessario che può essere di concreto sostegno al rilancio dell’intero paese.