Sentenza della Corte costituzionale tedesca, e ora?
Il caso si protrae da sei anni. Nel 2014 quando si era nel pieno del QE avviato dall’allora governatore della Bce, Mario Draghi, una petizione firmata in Germania da oltre 1.700 persone (tra cui molti economisti e giuristi) aveva chiesto alla Corte costituzionale se questo tipo di intervento da parte della Banca centrale europea fosse in linea coi Trattati e con le finalità della Bce stessa. La Corte tedesca si era rivolta alla Corte di giustizia europea che nel 2018 aveva dato ragione alla Bce: il programma di acquisto dei titoli era legittimo. La questione è però tornata alla Corte tedesca che lo scorso 5 maggio ha messo in dubbio il verdetto della Corte di giustizia europea non ritenendo sufficienti le motivazioni fornite in merito alla proporzionalità del QE della Bce e obbligando quest’ultima a fornirle ulteriori spiegazioni entro tre mesi. In pratica, la Corte tedesca ipotizza che quanto fatto dalla Bce non sia entro il perimetro delle proprie competenze.
Per la prima volta nella storia della repubblica tedesca, l'organo principale della giustizia del paese afferma che le misure prese da un organo europeo "non sono coperte dalle competenze europee” e per questo “non potrebbero avere validità in Germania”. Il governo tedesco e il Bundestag, inoltre, “sulla base della loro responsabilità di integrazione – aggiunge – sono tenuti ad attivarsi nei confronti del PSPP”, (Public sector purchase programme), cioè il programma di acquisti di titoli di Stato nell’ambito del QE.
La reazione della Bce
Non stupisce dunque la reazione piccata della Bce, che ha ricordato in una nota ufficiale come “la Corte di giustizia dell'Unione europea ha stabilito, nel dicembre 2018, che la Bce sta agendo nel suo mandato per la stabilità dei prezzi. Riaffermiamo il primato della
legge europea, e il fatto che le decisioni della Corte europea sono vincolanti su tutte le corti nazionali. La Commissione rispetta l'indipendenza della Bce, e studieremo la sentenza in dettaglio”. La Bce quindi “prende nota del giudizio della Corte costituzionale federale tedesca sul Pspp” e “rimane pienamente impegnata a fare qualunque cosa necessaria, nel suo mandato”; per la stabilità dei prezzi e perché la politica monetaria sia trasmessa a tutte le giurisdizioni dell'area euro”. Freddo il commento del vicepresidente della Bce, Luis De Guindos: “abbiamo preso atto della sentenza. Come Bce, siamo un’istituzione europea e dobbiamo sottostare al quadro giuridico dell’Ue”, mentre la presidente Christine Lagarde alza il tiro: “siamo pronti – ha detto – a soluzioni di natura eccezionale di fronte a circostanze eccezionali”, anche “deviando” e prendendo “lo spazio di manovra” necessario. La misura eccezionale è il Pepp, il nuovo programma di acquisti di debito per l’emergenza pandemica da 750 miliardi di euro che probabilmente la Bce si prepara a potenziare, se non raddoppiare, da qui a giugno.
Un intricato nodo giuridico
A Francoforte prosegue il lavorio tecnico e diplomatico per sciogliere il garbuglio giuridico creato dalla Corte costituzionale tedesca. Se da un lato la Bce è pronta a fornire tutte le informazioni tecniche, dall’altro non intende farsi incastrare in un negoziato diretto con la Corte tedesca che riconoscerebbe la sua giurisdizione dove invece prevale la Corte Ue. Creando un precedente ed esponendo le istituzioni europee a chissà quali iniziative giudiziarie nazionali. “La Bce risponde a noi, non al Bundestag o dalla Corte costituzionale tedesca”, ha spiegato la presidente della commissione economica del Parlamento europeo Irene Tinagli. “Non credo – ha aggiunto – che ci possano essere ripercussioni.
È probabile che Lagarde lascerà a Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank e consigliere Bce, il delicato compito di dialogare con i giudici e con governo e parlamento tedesco per risolvere il contenzioso.
Una scossa per il resto d’Europa
In una riflessione pubblicata sul sito dell’Ispi, Franco Bruni (vice presidente dell’istituto) e Antonio Villafranca spiegano che in ballo c’è la stessa indipendenza della Bce rispetto ai singoli poteri nazionali. Se la Corte costituzionale tedesca è stata messa in moto per il precedente QE, non è da escludere che possa essere ancora chiamata a giudicare il Pepp: qualora la Bce fosse impossibilitata a rafforzare il suo programma di acquisto, riflettono i due studiosi, l’unico aiuto a un paese membro da parte della Bce stessa potrebbe avvenire con un altro strumento: la Outright Monetary Transactions (Omt). È il cosiddetto bazooka predisposto da Draghi per evitare il fallimento di un paese membro e il possibile crollo dell’intera Eurozona (soprattutto se il paese in questione avesse le dimensioni dell’Italia). Si tratta dello strumento che meglio di ogni altro riassume il ‘whatever it takes’ pronunciato da Draghi. In pratica, la Bce potrebbe acquistare titoli da uno stato membro in difficoltà senza alcun limite. Un’arma talmente potente che non è mai stata utilizzata. “Ma questi ragionamenti – scrivono Bruni e Villafranca – mostrano i loro limiti perché si basano sempre sull’intervento della Bce. È come se le responsabilità rispetto all’emergenza Covid-19 dovessero ricadere tutte sulle spalle della banca centrale. Ma evidentemente non è e non può essere così. La responsabilità è anzitutto politica”. In questa prospettiva, “non è escluso che l’intervento della Corte tedesca possa sortire un effetto positivo, perché fa emergere i limiti degli interventi della Bce e impone ai leader politici di intervenire per altre vie”.