I mercati hanno il Covid-19 ma sono asintomatici
È possibile parlare di economia, nel 2020, senza parlare della pandemia? La risposta è che sì, è possibile, soprattutto se si guardano i mercati e in particolare quelli europei. Quest’anno, ci sono state importanti novità che arrivano proprio dagli uffici di chi fa fluttuare grafici e indici, e che coinvolgono l’economia reale, gli imprenditori, i lavoratori e le famiglie. Durante quest’anno, per esempio, i mercati europei dei capitali hanno fornito importi record di finanziamenti a sostegno d’imprese ed economie: livelli senza precedenti di finanziamento provenienti dai mercati hanno sostenuto soprattutto le Pmi, nel primo semestre del 2020. A parlarne, un rapporto appena pubblicato dall’Associazione dei mercati finanziari in Europa (Afme), in collaborazione con altre 10 organizzazioni europee e internazionali. Lo studio, intitolato Indicatori chiave dell’andamento dell’Unione dei mercati dei capitali, illustra i progressi compiuti dagli Stati membri su elementi chiave quali l’accesso ai finanziamenti, i livelli del prestito bancario, la transizione verso una finanza sostenibile e condizioni favorevoli al fintech.
Ancora troppa dipendenza dai prestiti
Si diceva, quindi, dei livelli senza precedenti di finanziamento tramite gli strumenti dei mercati di capitali, prevalentemente titoli a reddito fisso. Una modalità aumentata del 44% anno su anno, cosa che ha comportato un aumento della quota di finanziamento sul mercato per le imprese europee, dall’11% del 2019 al 14,5%. L’emissione di obbligazioni garantite è aumentata dell’82%, per effetto del notevole incremento di nuovi prestiti derivante dalla pandemia di Covid-19 e del continuo sostegno delle banche centrali. Intanto le banche, fa sapere Afme, continuano a eliminare dai propri bilanci quei crediti deteriorati, gli Npl, che tanto male hanno fatto al sistema. È quindi una situazione che si sta stabilizzando? Non proprio. Le Pmi continuano a dipendere ancora troppo dai rubinetti bancari. I prestiti alle piccole e medie imprese dell’Ue sono stati pari a 573 miliardi di euro nel primo semestre del 2020, a fronte di soli 14,1 miliardi di euro d’investimenti in capitale di rischio (venture capital, private equity, business angel e crowdfunding azionario).
Fintech, bisogna crederci di più
“Un aumento sostenuto dei prestiti bancari – ha commentato Adam Farkas, chief executive di Afme – significa che l’Europa resta fortemente dipendente da questo tipo di finanziamenti. Analogamente, mentre gli Stati membri hanno adottato misure per promuovere l’innovazione nelle loro economie, gli investimenti nelle aziende fintech continuano a essere inferiori a quelli di altre grandi regioni, come Stati Uniti e Cina”. In effetti, i progressi nel fintech sono innegabili ma l’Unione risulta ancora in ritardo. Lo scorso anno solo sette Paesi europei hanno lanciato poli d’innovazione fintech. Tuttavia, nella prima metà del 2020, gli investimenti totali dell’Ue nelle aziende fintech sono stati pari a 1,5 miliardi di euro, molto inferiori a quelli degli Stati Uniti (7,4 miliardi) e del Regno Unito (2,1 miliardi). Dove l’Europa resta leader sono i social bond, cosa che permette alla regione di consolidare la propria leadership negli asset green ed Esg (Environmental, social, governance). Nel primo semestre del 2020, quasi un terzo (27%) delle emissioni obbligazionarie sostenibili in Europa è stato classificato come sociale, la più grande percentuale, ad oggi, del mercato sostenibile in un semestre.
Tanto risparmio parcheggiato sui conti correnti
Un altro dato record, anche se in chiaroscuro, è stato l’aumento del risparmio personale: le famiglie europee, sottolineano da Afme, hanno aumentato il tasso di risparmio fino a raggiungere livelli mai visti pari al 16% del reddito disponibile nel primo trimestre 2020 (a fronte del 12% nel 2019). Tuttavia, e questa è la brutta notizia, la maggior parte di questi risparmi è stata investita prevalentemente in depositi bancari a basso rendimento. Tradotto: le famiglie accumulano risparmi per paura del futuro ma non sanno come investirli nel modo più redditizio, così grandi masse restano sui conti correnti e perdono di valore. “Più in generale – ha continuato Farkas – questi risultati evidenziano la necessità di un’azione urgente per incoraggiare mercati dei capitali europei profondi ed estesi, in grado di soddisfare le esigenze di mutuatari e risparmiatori e quindi di promuovere la crescita economica a lungo termine. Ciò richiede, tra le altre aree di intervento, il sostegno politico ai mezzi per ricapitalizzare le imprese e migliorare il funzionamento della cartolarizzazione”.
L’Unione Europea
c’è Per esempio, urge un’integrazione europea più profonda. Rispetto alla crisi finanziaria del 2008, nel 2020 non ci sono stati segnali di un deterioramento significativo dell’integrazione europea. La crisi dovuta al Covid-19 non ha (ancora?) peggiorato in modo importante i flussi di finanziamento transfrontalieri intraeuropei, con le aziende che cercano di raccogliere fondi all’interno dell’Europa per far fronte alla pandemia. L’emissione di obbligazioni commercializzate in Europa è aumentata al 96% nel 2020 a fronte del 93% nel 2019 e del 60% nel 2007. “L’unione dei mercati dei capitali – conclude il rapporto – è più che mai necessaria per sostenere la ripresa nel lungo termine”.