Covid-19, un welfare sotto pressione
Le vittime collaterali del coronavirus non compaiono nei bollettini ufficiali. Persone vive, vivissime, non affette dal Covid-19 e magari persino in buona salute, eppure rimaste comunque pesantemente influenzate dagli effetti dell'emergenza sanitaria. Sono malati di un'altra pandemia, questa volta economica, contagiati da un morbo che, di lockdown in lockdown, continua a mietere vittime invisibili. E in questo caso non basterà un vaccino.
Le previsioni economiche virano tutte in territorio negativo. Le stime sulla crescita del pil mondiale volgono al pessimismo. E nascondono, dietro la potenza sintetica di un numero, il dramma di chi, a causa della pandemia, si è ritrovato senza un lavoro e senza un reddito. Il risultato è che in Italia, stando a un recente rapporto curato da Censis e Tendercapital, cinque milioni di persone fanno fatica a mettere in tavola un pasto decente. La schiera dei poveri ha registrato 600mila nuovi ingressi. E 7,6 milioni di famiglie stanno affrontando un severo peggioramento del proprio tenore di vita.
La pandemia di coronavirus, secondo i risultati della ricerca, ha sostanzialmente ampliato l'area del disagio sociale. Una platea di 23,2 milioni di persone ha dovuto far fronte alle difficoltà di un reddito divenuto più leggero con l'emergenza sanitaria. Altri nove milioni sono stati costretti a integrare le proprie entrate facendo ricorso all'aiuto di banche e familiari. Chi è riuscito a resistere alla prima ondata della pandemia, a differenza di due milioni di persone che sono rimasti duramente colpiti dalla fase iniziale dell'emergenza coronavirus, vive comunque nella paura: di dover convivere con un reddito più basso per il 53% della popolazione, di perdere il proprio posto di lavoro per un altro 42%.
La pandemia ha insomma incrementato a dismisura il bisogno di assistenza e cura della popolazione italiana. Una crescita a cui si è tentato di rispondere con iniziative straordinarie, vere e proprie misure di guerra, facendo affidamento sulla rete di protezione sociale offerta dal welfare state. Secondo l'ultimo rapporto di Welfare, Italia, think tank promosso da Unipol insieme a The European House – Ambrosetti, la spesa sanitaria per le sole strutture ospedaliere è aumentata di oltre 1,5 miliardi di euro. La cassa integrazione si avvia a sfondare entro fine anno il muro delle 3,5 miliardi di ore, con un costo complessivo calcolato in 25,6 miliardi di euro. E si stima che tra 550mila e 740mila persone finiranno per usufruire della Naspi, assorbendo risorse comprese fra 5,5 e 7 miliardi di euro. Numeri che sintetizzano l'enorme pressione a cui è stato sottoposto in questi mesi il welfare state. E che generano ulteriori dubbi sulla sostenibilità a lungo termine di un sistema che non sembra aver mai brillato troppo per tenuta e adeguatezza delle proprie prestazioni. Il rapporto sottolinea in particolare, come il sistema pubblico di welfare si trovi in una sorta di tenaglia: da una parte la quota più alta di over-65 in Europa (22,8%) e dall'altra uno dei più bassi tassi di natalità (1,29 figli per donna). Il risultato è che l'aumento del bisogno registrato in questi mesi non sarà niente rispetto a quello che capiterà in futuro, quando la popolazione sarà sempre più anziana e richiederà misure di assistenza adeguate alle esigenze della terza età.
Di fronte a questi numeri, diventa sempre più palese l'inadeguatezza di un sistema di welfare pubblico che difficilmente riuscirà in futuro (ma in parte già oggi) a garantire le prestazioni di assistenza essenziali. E allora chi può preferisce tutelarsi da sé. Lo ha rilevato un'altra indagine del Censis, questa volta realizzata insieme ad Aipb, che ha analizzato prospettive e necessità dei cosiddetti benestanti, italiani che dispongono di un patrimonio finanziario superiore a 500mila euro. Di fronte alle preoccupazioni per malattie (46%) e riduzioni del reddito (39,7%), la risposta della classe agiata si traduce in una corsa all'autotutela. Già, perché il 53% degli italiani benestanti si aspetta che in futuro il welfare state sarà in grado di garantire soltanto servizi essenziali, come terapie intensive e interventi salvavita. Tutto il resto dovrà essere pagato autonomamente. Il 41,8% della classe agiata, a tal proposito, ha già sottoscritto polizze assicurative e il 24,9% si dice intenzionato a incrementare la spesa in sanità integrativa. Solo il 5,9% della categoria pensa invece di ridurre in futuro questa voce di spesa.