Le apparenti misure di sostegno alle imprese
Introducendo un meccanismo giuridico disciplinato dapprima dall’art. 3 del D.L. 14 agosto 2020, n. 104 e riproposto con marginali variazioni dall’art. 12, c. 14 del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, l’art. 1, c. 306 della Legge 30 dicembre 2020, n. 178 dispone che il datore di lavoro che per il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 marzo 2021 non si sia avvalso del trattamento d’integrazione salariale (ordinaria e in deroga) o di assegno ordinario riconducibili all’emergenza epidemiologica ha titolo a beneficiare per un periodo di 8 settimane dell’esonero dal versamento dei contributi di previdenza obbligatori a proprio carico.
Il dispositivo giuridico ha, dunque, posto sin dal 1° gennaio 2021 il datore di lavoro dinanzi alla scelta di ricorrere al trattamento d’integrazione salariale nel corso del primo trimestre dell’anno 2021 nell’ipotesi di sospensione dell’attività o di riduzione dell’orario di lavoro, ovvero di fruire dell’esonero contributivo nel rispetto di un limite individuato per ciascuna impresa in base alla contribuzione obbligatoria che sarebbe stata versata qualora le ore d’integrazione salariale fruite nei mesi di maggio e giugno 2020 fossero state effettivamente lavorate dai lavoratori.
Peraltro, è stabilito che tale opzione debba essere esercitata dal datore di lavoro in relazione a ciascuna unità produttiva; tale opportunità consentirebbe di definire una strategia calibrata sul regime di produzione della singola unità produttiva, assicurando la massima ‘flessibilità organizzativa’.
Quali sono i limiti al provvedimento
Se si tralasciano gli intrinseci elementi di complessità della norma, il congegno giuridico più sopra delineato in estrema sintesi risulta essere, almeno in apparenza, una misura agevolativa ragionevole e interessante per una estesa platea d’imprese.
Ciò nonostante, l’art. 1, c. 306 della Legge 30 dicembre 2020, n. 178 non ha rappresentato un’opzione concretamente percorribile per le imprese dal momento che:
l’effettivo riconoscimento dell’esonero contributivo è subordinato a un espresso – ed eventuale – provvedimento autorizzatorio adottato dalla Commissione europea che, per quanto noto, non è al momento ancora stato emanato.
Se da una parte l’esercizio del diritto a fruire dell’esonero è condizionato a un’autorizzazione non ancora rilasciata, dall’altra il ricorso al trattamento d’integrazione salariale ha rappresentato una soluzione organizzativa immediatamente applicabile nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 marzo 2021. Non può dunque che evincersi l’evanescenza dell’opzione offerta dalla citata norma, poiché il regime di alternatività tra il ricorso al trattamento d’integrazione salariale con causale ‘Covid-19’ e l’esonero contributivo non è di fatto ancora operativo;
alla luce di quanto evidenziato al precedente punto, non potrà che accadere che, una volta che la Commissione europea avrà eventualmente adottato il provvedimento autorizzatorio con riguardo all’esonero contributivo, al regime di alternatività avranno accesso le imprese che non abbiano avvertito alcuna necessità di ricorrere al trattamento d’integrazione salariale nel corso del primo trimestre dell’anno 2021: il fine per il quale il meccanismo giuridico in esame è stato istituito è dunque integralmente disatteso e le risorse finanziarie saranno indirizzate a beneficio di imprese che attualmente non versano in uno stato di difficoltà.
Uno strumento inadatto di politiche per le imprese
Proporre per la terza volta tale dispositivo giuridico continuando a prevedere che durante il primo trimestre del 2021 possano accedere all’esonero contributivo le sole imprese che abbiano fatto ricorso al trattamento d’integrazione salariale con causale ‘Covid-19’ nel corso dei mesi di maggio e giugno 2020, equivale peraltro a sancirne l’inattualità, attribuendo alla misura una solo apparente funzione di sostegno.
La disposizione avrebbe potuto rispondere alle effettive esigenze del tessuto economico se fossero state ammesse all’esercizio dell’opzione le imprese che siano ricorse al trattamento d’integrazione salariale in periodi più recenti, come ad esempio durante i mesi di novembre e dicembre 2020.
È paradossale, ma l’art. 1, c. 306 della Legge 30 dicembre 2020, n. 178 esclude dal proprio ambito d’applicazione proprio l’impresa che abbia sospeso l’attività o ridotto l’orario di lavoro ricorrendo al trattamento d’integrazione salariale successivamente al mese di giugno 2020.
Tali elementari accorgimenti, avrebbero assicurato maggiore equilibro ed efficacia a una politica di sostegno per le imprese in un frangente che il perdurare della crisi sanitaria rende ancora difficile e incerto.
Pare potersi affermare sia stata nuovamente disattesa l’esigenza delle imprese di poter applicare norme e dispositivi giuridici affidabili, che consentano di delineare programmi e politiche imprenditoriali che possano effettivamente - e flessibilmente - contrastare il carattere di spiccata ‘variabilità’ che ha sino ad ora contraddistinto lo stato di crisi sanitaria e che certamente non si dissolverà d’improvviso.