Flexible benefit, in crescita nell'anno del coronavirus
Secondo l'ultima edizione dell'Osservatorio Welfare di Edenred Italia, il 2020 è stato “un banco di prova cruciale delle misure di flexible benefit”. E la prova appare ampiamente superata. Nell'anno del coronavirus, stando ai risultati di un'indagine condotta su un campione di 500mila utenti e 3mila imprese, il settore ha infatti “confermato la bontà delle soluzioni di welfare aziendale” e allargato ulteriormente i confini di un fenomeno che risulta da anni in netta crescita. Nello specifico, il welfare aziendale si è imposto lo scorso anno come un fondamentale “strumento di integrazione al reddito durante la pandemia”.
Il credito welfare pro capite nel 2020 si è attestato a circa 850 euro. Numeri in leggera flessione rispetto agli 860 euro dell'anno precedente, ma sostanzialmente (e forse anche sorprendentemente) stabili se si considera che nello stesso periodo il Pil ha registrato un calo dell'8,8%: a fronte di una perdita del reddito disponibile stimata dalla Banca d'Italia in quasi tre punti percentuali, il welfare aziendale ha dunque tenuto e costituito un insperato sostegno per le famiglie travolte dalla pandemia.
Nel dettaglio delle prestazioni, l'osservatorio conferma il boom dei fringe benefit che si era già stato registrato negli ultimi anni. Fringe benefit e area ricreativa, nello specifico, arrivano a coprire il 45% dei consumi di welfare aziendale nel 2020, in aumento rispetto al 41% dell'anno precedente. La tendenza non appare tuttavia uniforme. L'area ricreativa, sulla scia delle restrizioni imposte per contenere il contagio da coronavirus e delle mutate abitudini di vita e consumo durante la pandemia, si riduce e passa dal 22% del 2019 all'attuale 15%. In decisa crescita invece il più ristretto ambito dei fringe benefit, etichetta che racchiude al suo interno prestazioni offerte ai dipendenti a integrazione della normale busta paga: nell'ultimo anno la quota di mercato di queste soluzioni, che comprendono prestazioni come buoni spesa o buoni carburante, è cresciuta dal 18% al 30%. Un aumento dettato anche dalla disposizione del decreto Agosto che ha raddoppiato la soglia di esenzione fiscale prevista per i fringe benefit, passata per il solo 2020 dai canonici 258,23 euro a 516,46 euro all'anno.
Tiene anche il segmento del cosiddetto welfare sociale, categoria che comprende al suo interno iniziative nell'ambito di istruzione, previdenza e sanità: queste genere di prestazioni, sebbene in lieve calo rispetto al 54% del 2019, continuano a ricoprire quasi il 50% dei volumi di spesa complessivi. Soffrono in particolare le spese per i rimborsi nel settore dell'istruzione, passate dal 33,8% del 2019 al 28,3% del 2020, mentre crescono i contributi per previdenza integrativa (da 12,7% a 13,7%) e assistenza sanitaria (da 7,6% a 8,9%). In flessione anche le spese per la mobilità, diminuite dal 3,7% del 2019 al 2% del 2020. A pesare, in questo caso, sono soprattutto le restrizioni alla mobilità imposte nell'ambito del lockdown, nonché l'incentivo allo smart working che ha di fatto eliminato l'esigenza di spostamenti fra casa e posto di lavoro.
Il 76% delle prestazioni di welfare in azienda è erogato sulla base di una scelta unilaterale delle imprese. Crescono tuttavia i piani di welfare frutto della contrattazione: il 34% dei beneficiari riceve flexibile benefit sulla base di un contratto nazionale di categoria. In aumento anche la quota di chi decide di convertire il premio di risultato in prestazioni di welfare aziendale, passati dal 14% del 2019 all'attuale 18%, e le erogazioni basate su accordi sindacali vincolati al premio di risultato.
Infine, per quanto riguarda la distribuzione geografica e la dimensione imprenditoriale, il rapporto conferma quanto era già emerso in passato: nonostante la crescita degli ultimi anni, il welfare aziendale resta un fenomeno da grandi imprese, collocate soprattutto al Nord. L'osservatorio, nello specifico, sottolinea che il welfare aziendale è stato adottato soprattutto da “aziende di medie e grandi dimensioni, soprattutto del settore manifatturiero, oltre che di quei settori d'impresa con un maggior grado di evoluzione digitale”. Marcato anche lo squilibrio geografico: il welfare aziendale risulta ancora “prerogativa di imprese e gruppi societari con sede principale nelle regioni del Nord del Paese” (81%), mentre in ritardo si confermano le regioni del Centro (16%) e del Sud Italia (3%).