Il valore della cultura per l’economia italiana
Uno dei temi centrali della discussione politica di questi giorni riguarda la ripartenza del settore turistico, ambito vitale per l’economia italiana che, come riferito dal Ministro del Turismo Massimo Garavaglia, lo scorso anno ha fatto segnare una perdita di 28 miliardi di euro e di 1,5 punti di Pil.
Come in pochi altri paesi al mondo, in Italia il turismo è strettamente legato alla cultura, una voce che va intesa nel suo significato più ampio, partendo dall’arte per giungere alle forme espressive delle tradizioni locali, all’artigianato, alle tipicità di qualsiasi genere incluse quelle agricole ed enogastronomiche. Ma c’è anche di più, perché le peculiarità di un luogo, la vita che si respira, l’ambiente naturale e artistico che partecipa alla crescita dei singoli, la storia e l’arte, sono un patrimonio individuale che fa parte della formazione delle persone e che alimenta poi la creatività delle imprese italiane e il Made in Italy.
Tutto questo milieu può essere schematicamente inserito nella definizione di “Sistema produttivo culturale e creativo” che alla cultura propriamente detta, fatta da musei, eventi, beni culturali, letteratura e altre espressioni, associa le attività artigianali e industriali creative e del Made in Italy.
Il Sistema è costituito da cinque settori: le industrie culturali (nel quale rientrano ad esempio l’editoria, la cinematografia, la produzione musicale), le industrie creative (quali la comunicazione, l’architettura e il design, l’artigianato artistico ma anche l’enogastronomia), il patrimonio storico, artistico e architettonico (include gli enti di conservazione dei beni culturali come i musei e le biblioteche, ma anche la gestione dei luoghi di interesse); le performing art e arti visive (comprendenti gli eventi in presenza tra cui l’entertainment, i convegni e le fiere); infine le attività creative driven, non attinenti direttamente alla cultura ma che risiedono nella filiera del contesto.
Pensando a questi ambiti e al loro indotto, risulta chiaro il peso del settore in Italia e come tutto questo movimento culturale sia strettamente intersecato – per filiera o per contaminazione creativa – ad altri settori più tradizionalmente definiti (dal turismo ai trasporti, dal terziario all’agricoltura fino alla moda).
Il settore è stato però fortemente coinvolto dalla pandemia, principalmente per il blocco dei flussi turistici e le chiusure imposte agli eventi e ai luoghi della cultura, anche se qualche ramo ha invece registrato lo scorso anno degli andamenti positivi, come ad esempio i settori “architettura e design” e “videogiochi e software”.
Un settore che pesa per il 6% dell'occupazione
Il peso economico della cultura e della creatività sul Pil italiano è annualmente rilevato dal rapporto Io sono cultura, promosso da Fondazione Symbola, Unioncamere, con Regione Marche e Credito Sportivo, la partnership di Fondazione Fitzcarraldo e Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, e il patrocinio del Ministero della Cultura. La decima edizione, presentata il 15 aprile scorso, fornisce un’analisi del sistema nel corso del 2019 e un confronto con il 2020 basato, in questo caso, su un’indagine eseguita su un campione di 1800 imprese del settore.
Il 2019 aveva raccolto dati positivi e in crescita per tutto il Sistema produttivo culturale e creativo, che con oltre 90 miliardi di euro (+1% sul 2018) ha rappresentato il 5,7% del valore aggiunto nazionale. Nel complesso, risultavano impiegate nel settore oltre 1,5 milioni di persone (5,9% del totale degli impiegati in Italia), un dato positivo non solo rispetto all’anno precedente (+1,4%) ma anche nel confronto con l’occupazione complessiva nazionale (+0,6%). Il 44% del valore complessivo generato dal Sistema proveniva dai settori manifatturieri e dei servizi, che davano lavoro a 630mila lavoratori della cultura.
L’analisi realizzata a campione per il 2020 ha messo in evidenza il repentino manifestarsi di uno stato di crisi: il 44% delle imprese del settore stima per l’anno perdite di ricavi superiori al 15% del proprio bilancio e il 15% si attende perdite superiori al 50%: gli ambiti più in difficoltà sono quello delle performing art e arti visive e le imprese che operano nella conservazione e valorizzazione del patrimonio storico e artistico.
La creatività alimenta i distretti industriali
A livello territoriale, Milano e la Lombardia sono di gran lunga in testa per produzione e occupazione del settore, confermando la stretta connessione tra “industria della cultura” e capacità di produrre ricchezza. La sola area metropolitana di Milano incide per il 9,6% del valore aggiunto nazionale e per il 10% dell’occupazione, seguita nel valore aggiunto da Roma (8,7%) e Torino (8,1%) e nell’occupazione da Arezzo (8,8%), Torino (8,1%) e Roma (7,9%). Nella classifica per valore aggiunto si collocano dal quarto posto in poi Arezzo (7,6%), Trieste (7,1%), Firenze (6,8%), Bologna (6,1%) e Padova (6,0%).
La Lombardia risulta essere la prima regione per spesa turistica attivata dalla domanda di cultura (3,9 miliardi di euro) e quinta per incidenza della stessa sul totale della spesa culturale (47,6%, quasi 10 punti in più della media nazionale).
Di fronte alla crisi pandemica del 2020 il sistema si è presentato forte nei numeri ma ancora debole nella struttura, caratterizzato da un’attività parcellizzata che non riesce ancora ad operare come una vera forza economica coesa che si riconosce nei principi condivisi di cultura e creatività; manca, secondo il rapporto, una visione sistemica del settore e un’idea di sviluppo condivisa.