Pensioni, in cantiere l’ennesima riforma
L’annuncio della fine di quota 100 apre il cantiere per una nuova (l’ennesima) riforma delle pensioni. L’esperimento previdenziale, fortemente voluto nel 2018 dalla Lega, si esaurirà infatti alla fine dell’anno. E pone la necessità di un intervento legislativo che possa garantire la sostenibilità dei conti pubblici e, allo stesso tempo, flessibilità per i lavoratori in uscita. In caso contrario, il rischio è quello di uno scalone pensionistico: senza un correttivo, si passerebbe dal requisito previdenziale di 62 anni di età e 38 anni di contributi, previsto da quota 100, a un pensionamento di vecchiaia fissato a 67 anni di età.
Al momento la questione, almeno ufficialmente, non è inserita nell’agenda di governo. L’esecutivo si starebbe orientando verso piccoli correttivi, come la proroga dell’ape sociale per i lavoratori in difficoltà e dell’opzione donna, nonché verso un rafforzamento del cosiddetto contratto di espansione. Da più parti, però, si leva la richiesta di interventi più strutturali.
Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha per esempio lanciato l’ipotesi di dividere l’assegno previdenziale in due quote: la prima, quella contributiva, andrebbe subito al lavoratore, mentre quella retributiva arriverebbe soltanto al compimento dei 67 anni di età, ossia al raggiungimento del requisito per la pensione di vecchiaia. Il vertice dell’istituto di previdenza ha inoltre proposto, al fine di evitare sgradevoli vantaggi per chi può godere di assegni più consistenti, di introdurre agevolazioni per i lavoratori più fragili e per quelli impegnati in attività gravose. Altra proposta è poi quella di una quota 102, realizzabile attraverso un innalzamento del requisito anagrafico a 64 anni di età: così facendo, sarebbe possibile ridurre la platea dei potenziali beneficiari di quota 100 e garantire flessibilità a chi, negli anni della sperimentazione, ha raggiunto il requisito dei contributi ma non quello dell’età. La Lega spinge invece per dare la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi, a prescindere dal requisito anagrafico: si tratterebbe della cosiddetta quota 41, un’ipotesi molto costosa che consentirebbe il pensionamento di molti lavoratori che non hanno ancora compiuto 60 anni.
L’ipotesi più probabile è che si raggiunga una sorta di convergenza fra le varie proposte. Il governo, nella persona del ministro del Lavoro Andrea Orlando, ha avviato una serie di incontri con le parti sociali. I sindacati Cgil, Cisl e Uil hanno proposto all’esecutivo un sistema che consente di andare in pensione con 62 anni di età o con 41 anni di contributi. Il pacchetto comprenderebbe anche una pensione di garanzia per giovani, lavoratori discontinui e con basse retribuzioni e tutela delle donne, ossia la categoria più colpita dall’inasprimento dei requisiti pensionistici degli ultimi anni. A ciò si aggiungono poi strumenti di tutela dei lavori di cura e di chi svolge lavori usuranti, sostegno al reddito dei pensionati, rilancio della previdenza complementare e trasparenza sui dati della spesa previdenziale e assistenziale.