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Ocse, in pensione a 71 anni

È il traguardo a cui potrà aspirare, secondo un rapporto dell’istituto, chi inizia adesso a lavorare in Italia. Sarà una delle soglie più alte al mondo, eppure la spesa pensionistica continuerà a mettere sotto pressione le finanze dello Stato

La soglia di pensionamento per chi comincia adesso a lavorare in Italia si attesterà a 71 anni di età. E sarà una delle più alte della zona Ocse secondo l’ultima edizione del rapporto Pensions at Glance, la tradizionale ricerca che l’organismo internazionale dedica ai sistemi previdenziali mondiali. L’età di pensionamento più alta si registrerà in Danimarca, con 74 anni di età. A seguire si piazzano poi Estonia, Paesi Bassi e, appunto, Italia, tutte ferme a 71 anni. L’età media nell’area Ocse si attesterà invece a 66 anni.
La dinamica è data dal regime di adeguamento dell’età di pensionamento alla speranza di vita. L’Italia, spiega infatti l’istituto, “è tra i sette Paesi che collegano l’età pensionabile prevista per legge alla speranza di vita”. Nel nostro Paese, si legge nella ricerca, “tutti i miglioramenti dell’aspettativa di vita vengono automaticamente integrati all’età pensionabile”. Non è così in tutto il mondo: in Finlandia, per esempio, vengono considerati soltanto due terzi del miglioramento nella speranza di vita nell’adeguamento dell’età pensionabile.


La crescita della spesa pensionistica

L’adeguamento dell’età di pensionamento alla speranza di vita, prosegue la ricerca, “in un regime Ndc (notional defined contribution, ossia in un sistema contributivo, ndr) non è necessario per migliorare le finanze pensionistiche, ma mira a evitare che le persone vadano in pensione troppo presto, con pensioni troppo basse, e a promuovere l’occupazione in età avanzata”.
Il problema è che, nonostante questo regime, la spesa pensionistica in Italia è aumentata in maniera sensibile. Sebbene carriere lavorative più lungo e aumento dell'occupazione abbiano compensato almeno in parte l’effetto dell’invecchiamento demografico sulla spesa per pensioni, tra 2000 e 2017 l’esborso statale per gli assegni previdenziali è aumentato del 2,2%. Nel 2019 la spesa pensionistica in Italia è arrivata al 15,4%, la seconda più alta della area Ocse dopo il 15,7% della Grecia. Secondo le proiezioni dell’istituto, la quota dovrebbe aumentare ulteriormente nei prossimi decenni, per poi decrescere attorno al 2050 e attestarsi al 14,1% nel 2060, mantenendosi comunque fra più elevate dei Paesi presi in esame: nell’area Ocse la media dovrebbe infatti attestarsi attorno al 10,4%.


Andamento demografico e anticipi pensionistici

Alla base di questo trend sfavorevole ci sono soprattutto due fattori. Innanzitutto un andamento demografico che per l’Italia si sta rivelando particolarmente negativo. L’istituto stima infatti che l’invecchiamento della popolazione “sarà rapido e nel 2050 ci saranno 74 persone di età pari o superiore a 65 anni ogni 100 persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni, il che equivale a uno dei rapporti più alti dell’Ocse”.
A ciò si aggiunge poi il fattore che, a fronte di quanto espresso sulla carta, gli italiani vanno in pensione ancora relativamente presto. La legge prevede attualmente un’età di pensionamento fissata a 67 anni. Nei fatti, tuttavia, grazie ad anticipi pensionistici come quota 100, l’età effettiva di pensionamento è pari a 61,8 anni, contro i 63,1 della media Ocse. Quota 100, in particolare, messa definitivamente in soffitta dal governo e già duramente criticata dall’istituto, ha permesso di andare in pensione con 62 anni di età, ossia cinque anni in anticipo rispetto al termine previsto per legge e nove anni prima di quanto potrà fare chi inizia adesso a lavorare. Si tratta di un’eccezione prevista, oltre che in Italia, soltanto in Spagna, Belgio, Francia e Germania.