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Il grano ucraino che non può essere esportato

Molti paesi africani ed europei dipendono fortemente dalle esportazioni di cereali dalle aree ora in guerra. Una situazione che per alcuni stati particolarmente fragili potrebbe rivelarsi esplosiva nei prossimi mesi

La sicurezza alimentare di buona parte dell’Europa e di una consistente porzione di Africa settentrionale e Medio Oriente sarà sempre più legata all’andamento della guerra in Ucraina. Il trend di aumento dei prezzi dei cereali era già in corso prima della guerra, ma il conflitto armato lo ha certamente esacerbato.

L’allarme era stato lanciato già un mese fa dalla Fao. L’indice elaborato dall’agenzia Onu che traccia la variazione mensile dei prezzi internazionali di un paniere di prodotti alimentari di base, aveva già battuto il record a febbraio dalla sua creazione nel 1990, e ha registrato un ulteriore aumento del 12,6% a marzo. L’aumento è principalmente imputabile all’Indice Fao dei prezzi dei cereali, che “ha registrato un aumento del 17,1% rispetto a febbraio, trainato dai forti aumenti dei prezzi del grano e di tutti i cereali minori, principalmente a causa della guerra in Ucraina”.

La situazione allarmante, del resto, non riguarda solo i cereali ma anche un altro alimento base, gli olii vegetali, il cui Indice Fao dei prezzi è aumentato del 23,2% a causa dell’innalzamento delle quotazioni dell'olio di semi di girasole, di cui l’Ucraina è il principale esportatore mondiale. Anche i prezzi dell'olio di palma, soia e colza sono saliti notevolmente a causa dell'aumento sia dell'olio di semi di girasole che del petrolio greggio, con i prezzi dell’olio di soia ulteriormente spinti dalle preoccupazioni per la riduzione delle esportazioni da parte del Sud America.

Silos pieni e porti chiusi

Più recentemente, un nuovo allarme è stato lanciato da Coldiretti, che ha analizzato l’impatto delle autorità ucraine di sospendere l’attività dei porti nelle città occupate dalla Russia. In particolare sono state osservate le quotazioni del mais, che si trovano stabilmente ben al di sopra degli 8 dollari per bushel (24,5 chili) ma su valori elevati di oltre 10,5 dollari per bushel (27,2 chili) si colloca anche il grano poichè a livello mondiale l’Ucraina, sottolinea la Coldiretti, esporta il 10% del frumento tenero destinato alla panificazione per un totale di oltre 18 milioni di tonnellate ma anche il 15% del mais per oltre 27 milioni di tonnellate.

In una recente dichiarazione, Josef Schmidhuber, vice direttore della Fao, divisione Mercati e Commercio, in una conferenza stampa a Ginevra, ha parlato di quasi 25 milioni di tonnellate di grano bloccate in Ucraina che non possono lasciare il Paese a causa di problemi legati alle infrastrutture e al blocco dei porti nel Mar Nero, a opera delle forze armate russe. Schmidhuber, che ha parlato di “una situazione quasi grottesca”, sostiene inoltre che i silos pieni potrebbero provocare carenze di stoccaggio durante il prossimo raccolto di luglio e agosto. “Nonostante la guerra, le condizioni del raccolto non sembrano così difficili. Questo potrebbe davvero significare che non c'è abbastanza capacità di stoccaggio in Ucraina, in particolare se non si apre un corridoio per l'esportazione di grano”, ha detto il funzionario.

Il blocco delle spedizioni dai porti del Mar Nero rischia peraltro di alimentare l’interesse sul mercato delle materie prime agricole della speculazione che, sostiene la Coldiretti, si sposta dai mercati finanziari ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati Future uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto.

Una emergenza mondiale che riguarda direttamente l’Italia che è un Paese deficitario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame, secondo l’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia peraltro che l’Ucraina è il nostro secondo fornitore di mais con una quota di poco superiore al 13% (770 mila tonnellate), ma garantisce anche il 3% dell’import nazionale di grano secondo lo studio Divulga.
L’Italia in particolare è costretta ad importare materie prime agricole a causa – precisa Coldiretti – dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati.

“Bisogna invertire la tendenza contenendo il caro energia ed i costi di produzione con interventi sia immediati per salvare le aziende che strutturali per programmare il futuro del sistema agricolo nazionale”, ha spiegato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, sottolineando che “occorrono investimenti per aumentare la produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità ma bisogna anche sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica a supporto delle produzioni, della biodiversità e come strumento di risposta ai cambiamenti climatici”.

Un problema serio per l’Africa

Questa situazione potrebbe portare a un nuovo potenziale fronte di tensioni interne in paesi fortemente dipendenti dal grano ucraino (un esempio su tutti: la Tunisia, ma non solo), con risvolti possibili anche per quanto riguarda la pressione migratoria verso i paesi del sud d’Europa.

Per l’Africa la dipendenza dal grano estero non è un problema nuovo. Durante la sua recente visita in Senegal, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha discusso con Macky Sall, capo di Stato del Paese, nonché presidente di turno dell’Unione Africana, del conflitto tra Russia e Ucraina. Il presidente senegalese ha evidenziato che la guerra che si sta combattendo a migliaia di chilometri di distanza ha innescato una tripla crisi nel continente: “Abbiamo grossi problemi – ha detto – per la fornitura di prodotti petroliferi, a cui si aggiunge un’impennata dell’inflazione e soprattutto c’è la minaccia di carestia. Dai due Stati in guerra provengono anche i fertilizzanti e in loro assenza, i nostri raccolti saranno pessimi”.

Alcuni governi del continente stanno tentando di porre rimedio al problema e propongono l’uso di prodotti locali come alternative al grano. Secondo molti, il sorgo (cereale rustico e resistente, ricco di proteine, fibre, minerali e polifenoli) potrebbe rappresentare una risposta almeno parziale all’uso delle farine classiche. È la strada imboccata dall’Uganda, il cui presidente, Yoweri Museveni, ha lanciato recentemente un appello ai suoi connazionali a ricorrere alla manioca in alternativa al pane.