I criminali del metaverso
Anche l’Interpol si è fatta il suo metaverso. Lo scorso ottobre, in occasione dell’assemblea generale che si è svolta a Nuova Delhi, l’organismo internazionale di polizia ha alzato il sipario su quello che una nota stampa ufficiale definisce “il primo metaverso specificatamente pensato per le forze dell’ordine di tutto il mondo”. Lo spazio virtuale offre una rappresentazione digitale del quartier generale dell’Interpol a Lione, in Francia, e consente ai partecipanti di interagire con gli avatar dei colleghi e di seguire in maniera immersiva corsi di formazione sulle nuove tecniche di indagine forense. Permette inoltre di avere una rappresentazione ideale di quello che potrà essere il metaverso e, soprattutto, di elaborare modelli e strategie per contrastare il crimine nel metaverso. Già, perché anche reati e misfatti sembrano aver fatto breccia in uno spazio virtuale che, a quanto pare, non sarà dedicato soltanto a formazione, turismo e intrattenimento.
“I criminali si sono dimostrati così sofisticati e professionali da sfruttare rapidamente qualsiasi strumento tecnologico a disposizione per commettere nuovi reati”, ha commentato Jürgen Stock, segretario generale dell’Interpol, in una recente intervista alla Bbc. “Sappiamo che, se risponderemo troppo tardi, ci sarà meno fiducia negli strumenti che stiamo utilizzando e quindi – ha aggiunto – anche nel metaverso”.
Rischi per la pubblica sicurezza
L’annuncio dell’Interpol è avvenuto in concomitanza con la pubblicazione della prima edizione del Global Crime Trend Report, un’indagine condotta dall’organismo internazionale per rilevare i rischi principali per la pubblica sicurezza del presente e del prossimo futuro. Ebbene, stando ai risultati del rapporto, il cosiddetto cybercrime si pone, insieme ai reati finanziari, ai vertici della classifica: ransomware, phishing e intrusioni in dispositivi digitali, nel dettaglio, sono i crimini che generano le maggiori preoccupazioni.
Il timore dell’Interpol è piuttosto chiaro: se i criminali sono stati così bravi a sfruttare i canali digitali, quanto ci metteranno a compiere i loro reati anche nel metaverso? In realtà lo stanno già facendo. Lo scorso ottobre, a tal proposito, l’Innovation Lab dell’Europol ha pubblicato un rapporto sulle attività che i gruppi criminali possono compiere nel metaverso. Nel report c’è un po’ di tutto: dalla disinformazione al furto dell’identità, dalla sottrazione di dati alle frodi finanziarie, passando persino per tecniche e strategie, come nel caso dello human joystick attack, che possono avere pesanti ripercussioni (talvolta anche fatali) nella nostra vita reale. “Credo che sia importante per la polizia anticipare i cambiamenti della realtà in cui deve fornire sicurezza e protezione”, ha commentato la direttrice esecutiva Catherine De Bolle.
Uno spazio ideale per ripulire denaro sporco: transazioni veloci e anonime consentono ai criminali di aggirare le forze dell’ordine
Molestie virtuali, traumi reali
Uno dei crimini più controversi (e purtroppo diffusi) nel metaverso sono le molestie. Casi di abusi e palpeggiamenti virtuali sono stati denunciati fin dagli albori del metaverso. Alla fine del 2021, per esempio, la gamer Chanelle Siggens raccontò di essere rimasta vittima di un’aggressione sessuale durante una partita al videogioco Population One. Nello stesso periodo la psicoterapeuta Nina Jane Patel denunciò quello che in un blog arrivò a definire “uno stupro virtuale di gruppo sul mio avatar”. Molto scalpore ha poi destato un report dello scorso maggio redatto dall’organizzazione no profit SumOfUs. Il rapporto cita il caso di una ricercatrice che, nei panni una ragazza di colore di 21 anni, è stato condotta in una stanza privata durante una festa su Horizon Worlds, il metaverso di Meta, e lì “aggredita sessualmente mentre un secondo utente guardava”. L’esperienza è stata definita “sconcertante”. Lo stesso report riporta poi il caso di un’utente che era stata convinta a disattivare la funzione personal boundary, dispositivo che non consente agli estranei di avvicinarsi troppo al proprio avatar. “Ha subito notato – si legge nel rapporto – che il suo controller vibrava quando un altro utente la toccava, creando un’esperienza fisica disturbante e persino inquietante durante un’aggressione virtuale”.
Lavatrici digitali di denaro
Il metaverso si è poi rivelato lo spazio ideale per ripulire denaro sporco: transazioni veloci e anonime, magari mediante il ricorso a Nft e bitcoin, possono consentire a organizzazioni criminali di riciclare denaro sporco in maniera sicura e lontana dai riflettori delle forze dell’ordine. Lo scorso marzo, per esempio, l’Fbi ha dichiarato di aver interrotto uno schema da un milione di dollari basato sulla vendita di Nft nel metaverso.
Le tecniche utilizzate sulle piattaforme virtuali ricalcano molto spesso quelle utilizzate nella realtà. In fondo, il metaverso è popolato da aziende virtuali che offrono beni e servizi. E, proprio come nella realtà, possono essere sfruttate (più o meno consapevolmente) per ripulire il denaro frutto di attività illecite. Bion Behdin, co-fondatore di First Aml, società specializzata proprio nell’antiriciclaggio, ha recentemente affermato al Sun che anche semplici videogame, come World of Warcraft o Roblox, possono essere utilizzati per spostare denaro sporco su conti internazionali. Basta, ha spiegato, “convertire i soldi raccolti da attività illegali o da carte di credito rubate nella valuta virtuale del gioco”. I criminali possono utilizzare più account falsi o hackerare account esistenti “per evitare controlli”. E infine “prelevare, spostare e convertire la valuta in attività che possano restituire denaro pulito”.
Un califfato virtuale
Grande preoccupazione desta infine l’utilizzo che potrà essere fatto del metaverso a fini terroristici. L’esperienza dell’Isis ha dimostrato che gruppi di questo genere hanno tutte le capacità per sfruttare i canali digitali per attività di proselitismo, addestramento e organizzazione di attentati. La stessa cosa potrà dunque essere replicata in modalità immersiva nel metaverso.
L’allarme è stato lanciato lo scorso giugno dall’agenzia antiterrorismo dell’Unione Europea, con un rapporto pubblicato sulle colonne di EuObserver. Il report, a tal proposito, parla esplicitamente del rischio di un “califfato digitale”. I terroristi beneficerebbero innanzitutto di nuovi strumenti per la raccolta fondi e il riciclaggio di denaro sporco. Potrebbero sfruttare il coinvolgimento emotivo di un’esperienza immersiva per reclutare nuovi adepti. E potrebbero perfino rimettere in scena decapitazioni o addirittura grandi attentati terroristici, come quelli che hanno colpito Parigi nel 2015, a fini propagandistici.