Italia sulla bilancia: recessione o ripresa?
Il terzo trimestre del 2023, sommato al precedente, ha palesato un rallentamento dell’economia italiana, tedesca e dell’Area Euro. Le previsioni per l’anno tratteggiano una crescita asimmetrica. Da un lato Cina e Stati Uniti che, secondo le stime del Fondo monetario internazionale, vantano una valida crescita del Pil: rispettivamente del 5% e del 2,1%. Dall’altro lato, Area Euro e Italia sono ferme allo 0,7%, con la Germania in recessione (-0,5%).
Nel complesso si rivive una situazione che ha accompagnato l’Europa per lunghi anni pre-pandemici, nella quale cresceva assai meno rispetto agli altri due blocchi economici, con l’Italia fanalino di coda. Dopo la pandemia la svolta: le trame a filiera della nostra manifattura sono riuscite a interpretare, e talvolta addirittura anticipare, il cambiamento. La crescita è stata del 7% nel 2021 e del 3,7% nel 2022: un tasso più alto di Cina, Stati Uniti e Mondo, che ha trainato lo sviluppo dell’Area Euro (+3,4%). Il 2023 si era avviato bene per l’Italia (+0,6%) a fronte di un’Area Euro ferma al palo, bloccata dal rallentamento tedesco. I due successivi trimestri hanno palesato una crescita piatta, tanto per l’Italia che per l’Area Euro, che hanno fatto calare le stime per il 2023 allo 0,7% del Pil per entrambe.
Crolla l’inflazione italiana (ma non quella core)
Italia ed Europa ora si trovano a un bivio: i dati dei prossimi trimestri saranno decisivi per comprendere se l’Italia imboccherà la via della risalita, oppure quella dell’inizio di una recessione.
Ponendo i dati italiani sui due piatti della bilancia, questa propende leggermente verso una ripresa del Paese ma alcune variabili sono contradditorie e vanno poste su entrambi i contrappesi. L’inflazione italiana, crollata a ottobre, si è quasi azzerata a novembre (0,8%), tornando ai valori di inizio 2021. Tuttavia, l’inflazione core resta ancora alta, al 3,6%.
L’occupazione sale senza sosta, spinta dai contratti a tempo indeterminato, raggiungendo a ottobre un tasso di occupazione mai registrato: il 61,8%. Restano però ancora altissimi gli inattivi (33% del totale) laddove da mesi le imprese, di qualsiasi dimensione e comparto, faticano a trovare il personale, con ogni livello di istruzione e competenza.
Incertezza sui tassi d’interesse
Non è scontato che un eventuale aumento salariale possa risolvere il problema. La questione è connessa anche a un mutamento del sistema di valori, con le giovani generazioni che mettono al primo posto la qualità della vita e il tempo libero, rompendo l’equazione diretta tra aumento del salario e ore lavorate. La produzione industriale resiste bene, trainata da una bilancia commerciale ampiamente in attivo, ma sarebbe un errore sottovalutare la frenata della Germania, che rappresenta il nostro principale mercato di sbocco.
Al contempo il clima di fiducia dei consumatori diventa ballerino oscillando di due punti di mese in mese.
Infine, la massima incertezza regna in merito ai tassi d’interesse, infettando le altre variabili e le aspettative.
In questa fase delicata è fondamentale dare certezze al Paese: il procedere incerto della Bce, che naviga a vista con effetti annunci che disorientano le aspettative degli operatori economici, rischia di risultare l’atteggiamento più pericoloso da tenere quando l’economia è al bivio.