Che cosa sta cambiando nel mondo del vino
Il settore del vino italiano, come molti altri in questi anni instabili, sta vivendo un periodo di profonda trasformazione. Tra i cambi delle abitudini di consumo, di gusto, la crisi inflazionistica, l’export che zoppica e il cambiamento climatico, il 2023 ha segnato un’inversione di tendenza, caratterizzata da un segno negativo per l’export del vino italiano dopo anni molto positivi seguiti al 2020, con lo scoppio della pandemia, che aveva bloccato il mondo. In quei mesi di chiusura, anche il mercato del vino sembrava poter prendere altre strade: ma rapidamente, come vedremo, i cambiamenti imposti dall’emergenza sanitaria sono stati riassorbiti e, in parte, cancellati.
Ma torniamo al presente, anno 2023, in cui l’export del vino italiano a livello globale si è contratto dello 0,6% zavorrato dall’aumento dei prezzi e soprattutto dal calo della sua principale componente, i vini fermi, in contrasto con la crescita degli spumanti e il recupero del vino sfuso: “un effetto collaterale della crisi economica”, come ha specificato Denis Pantini, responsabile di Nomisma Wine Monitor, l’osservatorio dedicato al mercato del vino, nato con l’obiettivo di aiutare imprese e istituzioni della filiera vitivinicola italiana a interpretare le dinamiche del mercato.
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L’entusiasmo (esagerato) del 2022
A livello globale c’è stata una flessione dei consumi, figlia di una crescita economica asfittica. “Venivamo da un 2022 euforico – continua Pantini –, che consolidava la ripresa del 2021”. Ma questa flessione, sottolinea Nomisma, era attesa, giacché nel 2022 c’era stato un “eccesso di acquisti” da parte degli importatori, i quali nel 2023 si sono trovati con i magazzini pieni in un contesto di crescita inflattiva che ha ridotto la capacità di spesa dei consumatori.
Il mercato interno ricalca i dati di quello internazionale. Per quanto riguarda la distribuzione attraverso Gdo e discount, c’è stata una riduzione dei volumi ma una crescita dei valori, proprio a causa dell’inflazione: “anche in questo caso, però – commenta Pantini –, occorre distinguere, perché le vendite dei vini fermi sono risultate in calo mentre gli spumanti in crescita, seppur nella categoria dei generici, quindi senza denominazioni e marchi di qualità, il che rappresenta un altro elemento di crisi, per cui il consumatore non ha rinunciato alle bollicine ma ha acquistato le meno care”. La ristorazione ha invece tenuto meglio, con un bilanciamento, quindi, tra consumi casalinghi e consumi fuori casa.
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Una divaricazione dei consumi
Al riparo dalla crisi i vini di alta gamma e i cosiddetti fine wine, commercializzati soprattutto attraverso la ristorazione e le enoteche, mentre il grosso del mercato è venduto appunto attraverso la Gdo, dove il prezzo medio è molto basso, appena quattro euro al litro per i vini fermi e tra i sette e gli otto euro per gli spumanti.
“In un periodo di circa dieci anni – spiega il responsabile di Wine Monitor –, c’è stata una divaricazione dei consumi: i vini di fascia alta continuano a crescere, quelli della media si riducono, mentre i primi prezzi mantengono un certo livello di diffusione, perché soddisfano una fascia di consumo quotidiano, che a sua volta però tenderà sempre più a ridursi”.
La fascia media è quella che sta soffrendo di più perché, fa sapere Nomisma, manca di un posizionamento preciso ed è quella più sacrificabile: i vini di qualità, per esempio, sono collegati a consumi meno frequenti ma in crescita. Nel 2023 i vini più in sofferenza sono stati i rossi fermi della fascia media, cosa che ha sancito l’ennesimo momento di crisi per questo tipo di vino che non incontra più i gusti del grande pubblico.
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La lunga crisi dei vini rossi
Ci sono molti fattori che incidono sulla crisi dei vini rossi. “Il gusto delle persone – argomenta Pantini – si sta spostando verso vini più leggeri, meno impegnativi dal punto di vista del grado alcolico; ma anche il riscaldamento globale sta influendo, poiché con alte temperature fino a ottobre si riducono le occasioni di consumo”. Nel 2022, anno molto positivo per il mercato, guardando solo alle vendite nella grande distribuzione, rispetto a dieci anni prima i bianchi hanno tenuto, le bollicine sono raddoppiate, mentre i rossi hanno perso l’11% della quota di mercato. “Era una tendenza discendente che sottotraccia c’era già: finché il mercato tira ce ne accorgiamo di meno, ma quando il settore è in flessione la cosa è più evidente”.
Le abitudini delle persone stanno radicalmente cambiando. Negli ultimi dieci anni, il consumo giornaliero di vino da tavola, tipicamente rosso, si è ridotto mentre sono aumentate le occasioni di consumo conviviale e meno frequente; è aumentata l’attenzione alla salute e quindi la predilezione verso un consumo più responsabile e di vini con un basso grado alcolico.
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Il piccolo produttore vince con l’enoturismo
Dal lato della produzione, questi cambiamenti sono vissuti in modi diversi. Per il piccolo produttore, il problema principale è il posizionamento. “Tipicamente questi produttori hanno un mercato di riferimento nazionale e se non riescono a caratterizzare la loro produzione con un’identità specifica, le loro difficoltà sono molto importanti”, commenta Pantini. Negli anni, una buona parte di questa coorte ha compreso quanto fosse necessario trovare la propria nicchia, optando per la produzione di vini biologici, naturali, sostenibili; è chiaro, però, che le piccole dimensioni non permettono di andare all’estero con efficienza, in assenza di una struttura commerciale adatta. Per ovviare a queste difficoltà, la vendita online e soprattutto l’enoturismo sono state le armi vincenti: “chi riesce a fare ricettività per turisti stranieri – sottolinea Pantini – è anche in grado di fidelizzarli e continuare a inviare loro vini a domicilio”.
Nel caso delle grandi imprese il discorso è ovviamente diverso, sono più orientate alla grande distribuzione e all’export verso i mercati che di volta in volta sono più promettenti: Corea del Sud e Vietnam, così come Stati Uniti, Canada, Australia e ovviamente l’Unione Europea; mentre la Cina si è fermata dopo la partenza incoraggiante, circa sei anni fa. Dall’inizio della pandemia, il calo della richiesta cinese è stato ogni anno a doppia cifra.
Un futuro con più bollicine e sempre meno alcol
E quindi, cosa attendersi dal futuro? Ci sono elementi strutturali che non varieranno: “la crisi dei vini rossi continuerà – spiega il responsabile di Wine Monitor – e si tratterà di capire con quale portata e velocità”. Ci sarà sicuramente uno sviluppo delle bollicine, continua, un prodotto che intercetta tutti i trend del momento: con gradazione più bassa, adatto a situazioni conviviali, sono spesso un ingrediente per i cocktail, modalità di consumazione che incontra il favore del pubblico giovane.
E poi ci sono i vini no alcol, analcolici, che fanno storcere la bocca a tanti ma che possono essere un’opportunità. “C’è già un grande mercato all’estero, ma in Italia la normativa non è sviluppata su questa tipologia di bevanda e le denominazioni sono fuori da questo settore. Il rischio, però – chiosa Pantini –, è di rimanere indietro”.