Fintech, cosa aspettarsi dal 2018
Con l’approvazione della legge di Bilancio, il termine fintech è approdato nel lessico dell’ordinamento giuridico italiano. Passata un po’ in sordina, stretta nel clamore mediatico di pensioni e clausole di salvaguardia, la proposta del deputato democratico Sebastiano Barbanti introduce una serie di agevolazioni per le start up che operano nel settore finanziario: aliquota al 26% sugli interessi percepiti da chi presta denaro su piattaforme digitali, e la possibilità di fornire i soli dati anagrafici per i non residenti che desiderano sottoscrivere un accordo patrimoniale nel nostro Paese. Niente sandbox, però almeno è un passo avanti. E, secondo Ugo Cotroneo, partner di The Boston Consulting Group, anche la più chiara testimonianza che “il settore delle fintech non può più essere ignorato dagli organi decisionali”.
E non potrebbe essere altrimenti, visti i volumi che queste piccole società sono riuscite a muovere negli ultimi anni. “Dal 2000 le fintech hanno raccolto a livello globale circa 107 miliardi di dollari”, ha riportato Cotroneo snocciolando i numeri di una crescita che non sembra avere fine. “A impressionare – ha aggiunto – è soprattutto il balzo che il settore ha registrato negli ultimi anni, con circa 80 miliardi di dollari raccolti dal 2011 a oggi”. Gli Stati Uniti continuano a fare la parte del leone, con una raccolta complessiva di 70 miliardi di dollari. L’Europa resta inevitabilmente in coda, registrando tuttavia un tasso di crescita che fa ben sperare il settore nel prossimo futuro. “Mentre negli Stati Uniti l’aumento della raccolta si attesta a +22% annuo, in Europa si corre a un tasso del +48%”, ha osservato Cotroneo. I mercati principali del Continente restano Regno Unito, Germania e Francia: l’Italia si piazza indietro, molto più distaccata, con appena 50 milioni di dollari raccolti nell’ultimo anno. “Scontiamo una filosofia imprenditoriale poco propensa al venture capital”, ha spiegato Cotroneo. Che poi ha osservato come le nuove norme potrebbero dare la spinta necessaria al settore: “Nel Regno Unito si è puntato tutto su strumenti di semplificazione e incentivazione: percorrere la stessa strada potrebbe portare a risultati analoghi nel nostro Paese”.
Incentivi, regolamentazione e, soprattutto, un numero crescente di bisogni che attendono solo di essere soddisfatti. “Lo sviluppo del settore non è tanto legato all’innovazione, quanto alle domande dei consumatori”, ha spiegato Cotroneo. E le nuove tecnologie possono contribuire a rendere sempre più rapido e agevole l’accesso ai servizi già offerti. In quest’ottica, strumenti come machine learning, AI e Internet of Things diventano semplici acceleratori di prestazioni che vengono già elargite: non si tratta tanto di sostituire la relazione umana, quanto piuttosto di fornire strumenti nuovi agli operatori del settore. “Si è ormai compreso che la relazione umana resta un elemento fondamentale, e le nuove tecnologie costituiscono un valido supporto per migliorare l’erogazione di servizi”, ha osservato Cotroneo.
Il settore pare destinato a un ulteriore sviluppo. Particolare attenzione desta la blockchain, la tecnologia recentemente salita alla ribalta delle cronache per essere il software alla base di monete virtuali come il bitcoin. “È una tecnologia con grandissime potenzialità”, ha commentato Cotroneo. “È possibile – ha aggiunto – che il settore si evolva in una logica di sistema, in modo tale da mantenerne i vantaggi e scartarne i punti critici”.
Perché i problemi non mancano: l’innovazione porta con sé sempre qualche rischio. E le società del settore stanno correndo ai ripari con grossi investimenti in cyber security. Secondo Cotroneo, la prevenzione resta l’unica strada percorribile. Anche perché “non si può rifiutare l’innovazione solo perché ci sono dei rischi”. Siamo dipendenti dalle tecnologie, e il rischio è ovunque. “L’unica cosa che possiamo fare e conoscere i rischi e tentare di mitigarli”, ha concluso Cotroneo.