Social network e nuovi media: il martello del XXI secolo
L’uso dei social network e di nuovi media suscita un crescente dibattito. Fa bene o fa male? I nostri figli sono più attrezzati di noi, in quanto “nativi digitali”, o al contrario, sono più esposti e più deboli? È certo comprensibile la preoccupazione, come di fronte a ogni innovazione sostanziale. Pensiamo all’invenzione della scrittura, della polvere da sparo, della stampa. O anche solo a quella del martello: un martello può essere usato per piantare un quadro nel salotto, come arma per offendere o, persino, per martellarsi inavvertitamente un dito. Sarà qualitativamente diverso il caso dei social network e dei nuovi media? No, ovviamente. Senonché, ci sarà maggior bisogno di controllo e, forse ancor più, di autocontrollo.
Saper correre i rischi del web
Ecco allora il problema: consapevolezza individuale e collettiva. Perché dovrebbe esser chiaro che di essi si avvantaggia chi sa correrne i rischi, ma tali rischi esistono. Non penso tanto ai problemi più eclatanti. Alla privacy, per esempio, che è un problema complesso, ma gestibile politicamente. E neppure al cyberbullismo, che è un altro problema, ma in realtà nient’altro che un’altra forma di un problema antico, ben noto e però sempre rimosso.
Penso piuttosto a qualche rischio peculiare, come in particolare l’effetto-bolla. Sul web tutti siamo profilati e ci vengono proposte pubblicità, collegamenti, iniziative ecc. in conformità con i nostri comportamenti passati sul web. Rischiamo, dunque, di illuderci di vivere anche nel mondo reale in una bolla nella quale tutto ci si presenta conformemente ai nostri gusti, alle nostre scelte, alle nostre abitudini. Ma così non è, neppure sul web, figurarsi nella vita di qua del web, nella quale rischiamo di avventurarci come sonnambuli e di prendere conseguentemente sonore cantonate.
Il web, poi, è come una finestra: possiamo vedere il mondo, o illuderci di farlo, così come il mondo può vedere noi, o quel che noi vogliamo, o riusciamo a mostrare. Il nostro narcisismo, sindrome originaria dei moderni, rischia di fagocitare la nostra vita in una effimera esaltazione, e da consumatori rischiamo di trovarci in un attimo in consumati.
Il “world wide” non è il mondo
Ma torniamo un attimo al martello. Esiste un proverbio antico, forse irlandese, per il quale a un bambino che trova un martello, il mondo improvvisamente appare pieno di chiodi. Insomma, è come se con i social, i new media (che quando parliamo in inglese sembra che siamo più “in”, anche se in questo caso dietro spunta il solito bistrattato latino) o Wikipedia la fatica di informarsi e, ancor più, quella di formarsi e aggiornarsi, cioè di sintonizzarsi sul mondo in cui si vive e si sta per vivere, fosse ridotta, o annullata. Scoperto il web, o web o... nisba. Vale sempre il motto “garbage in, garbage out”.
Ma vi è di più. La velocità è bella, come sappiamo almeno dai Futuristi in poi; però non tutto le si addice. Lo schermo è fantastico per il veloce surf di superficie, ma per il lavoro di approfondimento, per un’immersione da palombaro in un testo, per continuare la metafora, è limitatissimo. Lo si riscontra anche nei cosiddetti “nativi digitali” (per altro, questa è una definizione utile solo come auto-assolvimento della massa più anziana o meno “digitalizzata”).
Cultura e obbiettività
Quindi, riconquistiamo tempo per le cose che lo meritano. Insomma, guai a cadere tanto nelle tecnofobie (era meglio quando si stava peggio – falso) quanto nelle tecnofrenie (il nuovo è buono perché nuovo – dipende!). Il punto è che serve capacità di ragionare, di unire buon senso e strumenti diagnostici, di stare “sul pezzo” con i piedi per terra e però ampliare il proprio orizzonte: in una parola, serve cultura. E se è vero che col web il nostro tempo libero viene sempre più colonizzato dal tempo di lavoro, è anche vero che i nostri lavori saranno sempre più colonizzati dai contenuti che una volta si trovavano solo nel tempo libero. Almeno fino a che quella cultura riusciremo a metterla dentro il nostro lavoro.