Gli studenti italiani criticano l’Università
Italia, Cina, Stati Uniti, Spagna, Regno Unito e India: dei sei Paesi coinvolti nell’indagine Sodexo, il nostro sembrerebbe quello che garantisce ai propri studenti una vita meno soddisfacente. La percentuale di giovani che promuovono il proprio stile di vita raggiunge l’82% in India, il 76% in Cina e il 75% nel Regno Unito – sono i Paesi con i risultati migliori – mentre si ferma al 62% in Italia, e scende addirittura al 54% in relazione al percorso accademico.
Cosa preoccupa gli universitari italiani?
Analizzando nel dettaglio i motivi che rendono i nostri studenti insoddisfatti, emerge il dato relativo al tempo dedicato all’insegnamento, che appaga il 56% del totale contro il 70% della media. Un altro tasto dolente è quello economico: oltre 4 giovani su 10 si dichiarano preoccupati dalla gestione delle spese quotidiane, ed è simile la quantità di quelli che ritengono insufficiente il rapporto qualità-prezzo dei servizi offerti dal proprio ateneo. Le università italiane non supportano sufficientemente i propri studenti in quelle attività che potrebbero essere ritenute accessorie all’insegnamento in sé, ma sono fondamentali per poter vivere con serenità il proprio percorso formativo: ricerca dell’alloggio, servizi legati alla salute, alla vita sociale, alla gestione delle finanze. Il risultato è che il 36% degli studenti italiani ha pensato almeno una volta di abbandonare l’università. A spaventare di più sono l’eccessivo carico di lavoro, l’incapacità di trovare un equilibrio tra studio e socializzazione, e il timore che i propri studi non garantiscano un futuro lavorativo.
Il commento degli addetti ai lavori
“Per attrarre le menti più brillanti e continuare a stimolarle, le università non devono solo fornire istruzione, ma devono anche rivolgere la loro attenzione alla qualità della vita degli studenti e di tutti coloro che lavorano all'interno dei campus” spiega Franco Bruschi, head of schools & universities segment med region di Sodexo. Per Loredana Garlati, prorettore all’orientamento e job placement dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, invece: "Lo studente non vede più l'università come un “esamificio”, ma come una comunità da cui attendere non solo qualità didattica ma anche supporto nella soluzione dei propri problemi attraverso servizi orientamento, counselling, alloggi, luoghi di aggregazione, sport, oltre a servizi efficienti, ma su questo le università italiane hanno ancora molto da fare". Infine Michele Rostan, delegato al benessere studentesco presso l’Università degli Studi di Pavia, spiega che: “I risultati dell’indagine ci segnalano che ciò che facciamo, soprattutto nei primi mesi del percorso universitario degli studenti, non sembra sufficiente per rispondere positivamente alle loro domande. Occorre, quindi, un maggiore impegno nel contrastare la dispersione formativa, nell’accompagnare gli studenti nel loro percorso, una maggiore attenzione alla didattica e l’offerta di maggiori spazi dedicati allo studio, soprattutto insieme ad altri studenti".