Pir, tanto rumore per nulla?
Quello dei Pir, i piani individuali di risparmio introdotti dalla legge di Bilancio 2017, è un successo a metà. Da un lato, una raccolta impetuosa che ha superato di molto l’obiettivo di due miliardi di euro posto inizialmente dal Governo: secondo i dati di Assogestioni, nel 2017 lo strumento finanziario ha attratto nuove risorse per 10,9 miliardi di euro. Dall’altro, un impatto che è rimasto marginale sull’assetto borsistico e produttivo del nostro Paese: se si considera che questo tipo di prodotto è nato con l’idea di favorire l’afflusso di risorse alle piccole e medie imprese, forse l’obiettivo non è stato pienamente centrato.
L’evidenza arriva da un recente studio promosso da Intermonte Sim e dal Politecnico di Milano, realizzato proprio per verificare quale impatto abbiano avuto i Pir sul mercato borsistico italiano. A conti fatti, a beneficiare della novità sono state soprattutto le società già quotate: tutte le altre, il cosiddetto mercato primario, sono rimaste alla finestra.
Ancora poche Ipo
Stando ai numeri del rapporto, il fenomeno Pir non avrebbe spinto al rialzo il numero di nuove quotazioni. Al Ftse Mib, il listino principale, nel 2017 si sono contate otto Ipo, sostanzialmente in linea con quanto registrato negli anni precedenti. Maggior euforia si è registrata nell’Aim Italia, con 16 nuovi ingressi nell’ultimo semestre dell’anno. Bicchiere pieno tuttavia solo a metà, visto che le nuove quotazioni sono spesso avvenute nella forma di Spac, ossia veicoli finanziari senza alcuna attività operativa propria che raccolgono fondi con l’obiettivo di selezionare e portare in Borsa società esistenti. Non abbastanza, quindi, per poter accogliere l’ingente flusso di risorse generato dai Pir.
Chi ci rimette è il Ftse Mib
Qualche effetto, tuttavia, c’è stato. E si è tradotto in un sostanziale rimescolamento delle carte già in tavola, favorendo una ridistribuzione del capitale fra i diversi impieghi. Il tutto a scapito del Ftse Mib.
Per capirlo basta ricordare il vincolo legislativo che impone di destinare il 21% delle risorse dei Pir a titoli non quotati sul listino principale: il flusso di risparmio ha contribuito a migliorare la liquidità dei titoli inseriti in segmenti come Star o Aim Italia, lasciando a bocca asciutta le società sul Ftse Mib.
Tutto ciò è stato definito nel rapporto come una “cannibalizzazione dei titoli sul Ftse Mib”: ben 22,7 miliardi di euro sarebbero stati spostati dalle blue chip ad altri impieghi, soprattutto dell’Aim Italia. A fronte di un calo medio dell’8% nei volumi di scambi del Ftse Mib, gli altri titoli hanno segnato una crescita del 71%. L’Aim Italia, a tal proposito, è passato da una media mensile di 27 milioni di euro nel 2016 a 165 milioni nell’anno appena concluso, più che sestuplicando il suo valore dei suoi scambi. Bene anche il segmento Star che, dopo i 977 milioni di euro del 2016, segna nel 2017 scambi per 1,7 miliardi di euro.
Qualcosa si muove
I tempi sono forse ancora prematuri per un bilancio definitivo. In fondo, i Pir sono entrati in vigore all’inizio del 2017 e le prime soluzioni hanno visto la luce soltanto nella primavera dello scorso anno: a conti fatti, i dati del rapporto si riferiscono a un intervallo di 9-10 mesi. E gli spostamenti registrati, seppur minimi, potranno porsi come le premesse di un successivo e ulteriore sviluppo.
Già la raccolta dovrebbe ulteriormente migliorare: secondo una stima di Intermonte, lo strumento potrà attrarre risorse per 60,1 miliardi di euro entro il 2021. “Il primo anno è stato l’anno della raccolta, penso che il 2018 potrà essere l’anno degli emittenti”, ha commentato Gianluca Parenti, partner di Intermonte Sim durante la presentazione del rapporto. “Poste queste basi – ha aggiunto – credo che 500 nuove quotazioni siano un obiettivo raggiungibile nel medio-lungo periodo”. Secondo i dati diffusi da Giancarlo Giudici, professore associato del Politecnico di Milano che ha collaborato al rapporto, la previsione porterebbe a “35-40 miliardi di nuova liquidità, portando la capitalizzazione al 40-50% del Pil”.