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Il futuro dipende dalla formazione dei giovani

Le riforme di scuola e università si sono trasformate in campo di battaglia tra fazioni invece di essere considerate con più lungimiranza un obiettivo comune per la costruzione dei cittadini del futuro. I laureati italiani sono ricercati all’estero, e l’offerta di lavoro in patria spinge le intelligenze a uscire dal Paese, impoverendo la nostra società. Abbiamo tra i nostri confini le potenzialità per crescere, peccato che manchi un progetto

La formazione è un tema che da sempre divide. Si tratta, infatti, dell’orientamento da dare ai futuri cittadini, in termini sia di conoscenze sia di valori: dunque è in gioco la città. Per giunta, siccome ognuno di noi ha avuto un’esperienza nella scuola, e molti ne vivono una seconda attraverso i propri figli, ciascuno si ritiene “esperto” dell’argomento, anche se tende a proiettare la propria esperienza, le proprie delusioni più che le proprie soddisfazioni, come sempre, sulla scuola in generale.
La funzione della formazione è duplice: trasmettere il passato e porre le premesse per il futuro. Se è dal primo che ereditiamo le uniche risorse che abbiamo a disposizione, è solo nel secondo che vivremo. E riguardando il futuro comune, è un tema politico e non può che dividere in parti contrapposte. Non è un caso che ogni cambiamento politico nel governo di una società, sia essa totalitaria o democratica, si riverberi in una riforma della scuola e dell’università. Il caso dell’Italia è però eclatante, visto che è dal 2000 che la nostra scuola è sotto riforma.

Il paese che non vuole i laureati
Una scuola che non era male, visto il successo che - nonostante tutto - molti, certo non tutti, riscuotevano in giro per il mondo, nelle aziende come nelle università. Le ultime stime sugli emigrati italiani all’estero ci danno all’ottavo posto al mondo per cifra assoluta, si tratta di centinaia di migliaia di persone all’anno, come fu nel Dopoguerra. Ma stavolta in maggioranza sono giovani laureati o dottori di ricerca, il che vuol dire che registriamo, in termini economici, una perdita ogni anno dell’ordine della decina di miliardi di euro investiti per formarli (comunque, siamo agli ultimi posti fra i paesi Ocse per investimenti in scuola e università), senza per di più fruire di rimesse dall’estero come un tempo, anzi al contrario. Per di più, essi vanno a lavorare in settori ad alto valore aggiunto e in paesi dai quali poi le nostre aziende e università subiscono la concorrenza. E taccio dei costi legati alle lacerazioni delle famiglie, alle fratture nelle proprie vite, alla perdita demografica secca per il futuro.
D’altronde la crisi industriale dell’Italia negli ultimi 30 anni ci ha portati dall’essere la quarta/quinta potenza industriale mondiale, fin dietro a Francia, Regno Unito e ai grandi paesi emergenti. Un già basso tasso di scolarità del paese, che ci vede tuttora agli ultimi posti in Europa, è stato accompagnato da politiche di definanziamento dell’istruzione di ogni ordine e grado negli ultimi quindici anni. Infine, l’amministrazione pubblica, che in tutto il mondo innalza il tasso di assunzione di laureati, ha diminuito i suoi organici, portandoci ben al di sotto di quasi tutti gli altri paesi europei. Non stupisce che siamo ai vertici per numero di laureati disoccupati e laureati che emigrano, e vanno a trovare posto in paesi che, comunque, ne sfornano assai di più di noi. Evidentemente di sfasamento fra offerta (di laureati in uscita dalle università) e domanda (di assunzione dal nostro sistema di aziende e pubblica amministrazione) si tratta, ma è una crisi dal lato della domanda.

La soluzione è in un progetto di ampie vedute
Siamo di fronte a questioni complesse, che riguardano l’intero assetto politico-economico del paese, una cui soluzione semplice, come sempre, non può essere quella migliore. La complessità va affrontata tutta insieme, con sguardo lungo per superare le divisioni che, sul breve termine, sono sempre legate a interessi di corto respiro. Come ogni questione politica, l’obiettivo non può che essere quello di ricomporre gli interessi particolari in un interesse generale, le volontà particolari in una (condivisa più ampiamente possibile) volontà generale. Cosa auspicare per una possibile volontà generale tesa alla ripresa del paese intero? Poiché aziende, organizzazioni e società sono fatte, in fin dei conti, sempre di persone e la formazione non è nient’altro che formazione di persone, chiediamoci: quale formazione vorremmo che ricevessero oggi i nostri figli per la loro vita di domani?
La formazione (primaria, secondaria e continua) serve proprio ad ampliare il nostro orizzonte. Non vi è altra possibilità che aumentare la nostra capacità diagnostica, riuscire a prevedere le tendenze di medio-lungo periodo più che quello che avverrà domattina, e attrezzarsi con il massimo delle risorse messe a disposizione da quanto ereditiamo. A parità di precisione, è più facile prevedere quali tecnologie si svilupperanno e quali spariranno nei prossimi dieci anni, che non a quanto chiuderà Wall Street la prossima settimana.

Dalla formazione dipenderà la qualità della vita
Se due terzi dei giovani faranno un mestiere che ancora non esiste, come ci ripetono dagli Usa, qual è la formazione di oggi che gli sarà più utile domani? Penso sia di buon senso rispondere che sia quella a più largo spettro e che richiederà un più serio impegno, così da avere più risorse e miglior metodo per affrontare le sfide del futuro. In una società dove la conoscenza deciderà di tutto, non sarà solo la qualità del lavoro a dipendere dalla propria formazione, ma anche la qualità della propria vita. I nostri figli dovranno, infatti, essere attrezzati a diagnosticare in quale mondo gli sarà capitato di vivere, costruire la propria strada in un ambiente in cambiamento, far valere le proprie ragioni e i propri interessi e, se necessario, i propri diritti, investire il proprio tempo di vita e i guadagni della propria attività lavorativa generando valori che durino oltre lo spazio di una frivolezza, se non proprio per una vita di realizzazione. Insomma, in una parola, dovranno usare la loro formazione per essere felici, come, da buon padre di famiglia, ciascuna e ciascuno in cuor suo sinceramente gli augura.