Di cosa risponde chi amministra le spa
La disciplina della responsabilità degli amministratori di s.p.a. è dettata dalle norme contenute negli articoli 2392 e seguenti del codice civile.
Dal complesso di tali norme si evince che gli amministratori sono responsabili del loro operato (i) verso la società, (ii) verso i creditori e (iii) verso i terzi.
I presupposti della responsabilità
La responsabilità degli amministratori verso la società dei danni derivanti dall’inadempimento o inesatto adempimento degli obblighi relativi (i) sia al funzionamento dell’organizzazione societaria (ii) sia alla gestione dell’impresa, e determina l’obbligo di risarcire il danno.
Rientrano nella prima categoria, a titolo esemplificativo:
- la convocazione dell’assemblea ex artt. 2446 e 2447 c.c.;
- l’approvazione di un progetto di bilancio conforme alle disposizioni di legge;
- la convocazione dell’assemblea per l’approvazione del bilancio;
- l’esecuzione delle prescritte pubblicità ed iscrizioni nel registro delle imprese;
- la regolare tenuta delle scritture contabili.
Nella seconda categoria rientrano, invece, sempre a titolo esemplificativo:
l’obbligo di agire con diligenza ex art. 2392 c.c. ;
- gli obblighi relativi alla sicurezza sul lavoro;
- gli obblighi stabiliti dalla normativa in materia di rifiuti e inquinamento ambientale;
- gli obblighi di pagare le imposte e contributi assistenziali e previdenziali;
- gli obblighi di svolgere l’attività in presenza delle autorizzazioni richieste dalla legge.
- Il divieto di agire in concorrenza con la società (art. 2390 c.c.);
- Il divieto di agire in conflitto di interessi con la società (art. 2391 c.c.)
Al riguardo, giova ricordare che gli amministratori rimangono responsabili per gli atti compiuti anche quando essi siano stati autorizzati dall’assemblea (art. 2364, comma 1 n. 5, c.c.). Pertanto, qualsivoglia risoluzione assunta in tale ambito dall’assemblea deve essere considerata quale “autorizzazione” al compimento dell’atto di gestione, che rimane in quanto tale un atto degli amministratori quali unici soggetti responsabili per il suo compimento.
Affinché sia integrata la fattispecie di responsabilità, non basta che l’amministratore abbia posto in essere un comportamento attivo od omissivo in violazione di doveri o obblighi previsti dalla legge o dallo statuto, ma occorre anche (i) che tale comportamento abbia determinato un danno alla società, in termini di danno emergente o lucro cessante e (ii) che tra il comportamento dell’amministratore ed il danno sussista un nesso di causalità, ovvero che il danno costituisca una “conseguenza immediata e diretta”.
Il regime della responsabilità
La responsabilità solidale degli amministratori è pur sempre una responsabilità per colpa e fatto proprio e non per fatto altrui. Al paragrafo 6.III.4 della Relazione alla legge di riforma si legge infatti che “è stata conservata la responsabilità solidale di amministratori, sindaci e revisori contabili (...) salva comunque la possibilità di provare – trattandosi di responsabilità per colpa e fatto proprio – di essere immuni da colpa”.
In virtù di tale principio, gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei predetti doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori (art. 2392, comma 1, C.C.).
Inoltre, gli amministratori sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (art. 2392, comma 2, C.C.).
Infine, si prevede che la responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto constatare il proprio dissenso nel libro delle adunanze del consiglio e ne abbia dato notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale (2392, comma 3, C.C.).
La tendenziale insindacabilità delle scelte gestorie
Sul piano sistematico, la responsabilità degli amministratori funge da contrappeso al loro potere gestorio, caratterizzato da un’ampia discrezionalità.
Parallelamente, dottrina e giurisprudenza ritengono che al giudice sia precluso il sindacato di merito delle scelte gestionali compiute dagli amministratori, allorquando esse siano espressione del corretto esercizio di quella discrezionalità (c.d. business judgment rule).
Nella pratica, tuttavia, non è agevole tracciare la linea di confine che separa diligenza e negligenza.
Sul punto, la più recente giurisprudenza di merito ha chiarito che il principio di insindacabilità delle scelte di gestione, per il quale gli amministratori non possono essere chiamati in responsabilità solo perché la gestione dell’impresa ha avuto un cattivo esito, non è assoluto ma soggetto a due limiti: 1) la scelta di gestione è insindacabile solo se essa è stata legittimamente compiuta; 2) la scelta è insindacabile solo se non è irrazionale. Sotto il primo profilo, resta infatti valutabile la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere così da non esporre l’impresa a perdite (dovere generale di accuratezza imposto a chi governa l’impresa). Sotto il secondo profilo, è pur sempre necessario che le informazioni e le verifiche assunte abbiano indotto l’amministratore ad una decisione razionalmente inerente ad esse (Tribunale di Roma, sentenza n. 12372 del 19 giugno 2017).