risparmio-addio-ai-bond

Risparmio, addio ai bond

Secondo uno studio di Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi, gli strumenti di risparmio gestito sorpassano le obbligazioni nel portafoglio degli italiani. Che si confermano un popolo di formiche, ma poco protetti

Sempre risparmiatori, ma non più bond people. Gli italiani dicono addio alle obbligazioni per avvicinarsi a forme di risparmio gestito: secondo l’ultimo rapporto di Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi, il 2018 è l’anno del sorpasso di fondi e polizze sui più tradizionali bond bancari e titoli di Stato. Stando ai risultati dell’indagine Il risparmio e le assicurazioni: investimento e protezione del futuro, il 21,4% della popolazione detiene (o ha detenuto negli ultimi cinque anni) almeno una soluzione di risparmio gestito. Le obbligazioni, dopo il 29% del 2007, si fermano adesso invece al 19%, rappresentando soltanto il 24% dell’attivo. Un cambio di rotta non da poco, soprattutto in un Paese dove fino a qualche anno fa i bond erano pressoché l’unica forma di investimento.
Difficile dire cosa abbia spinto gli italiani a effettuare una simile inversione di marcia. Forse il peculiare regime di bassi (quando va bene) tassi di interesse, forse i più o meno recenti fatti di cronaca che hanno visto come involontari protagonisti risparmiatori alle prese con bond bancari e titoli di Stato. Certo è che la paura di perdere soldi pesa, e parecchio, sulle scelte di investimento degli italiani: tre italiani su cinque pongono la sicurezza dell’investimento al vertice delle priorità, davanti a rendimento nel breve (13,6%) e lungo periodo (6,7%).
In questo contesto, non stupisce che finisca in liquidità buona parte della ricchezza privata delle famiglie italiane. Che continua a crescere, sulla scia del miglioramento generalizzato dell’economia nazionale: la quota di famiglie risparmiatrici si porta così al 47%, in crescita rispetto al 43,4% dello scorso anno. Parallelamente, si contrae l’area del cosiddetto non-risparmio, ossia di coloro che non sono riusciti a mettere da parte alcunché nei dodici mesi precedenti, che, dopo il massimo storico del 61,3% del 2012, si riduce nel 2018 al 52,7%. Aumenta anche la propensione al risparmio, calcolata come percentuale di reddito che si riesce ad accumulare: il dato risale fino al 12%, trovando il punto più alto dal 2001.
Le ragioni di questo approccio da formiche sono ben note: costruirsi un tesoretto che possa rivelarsi utile per far fronte agli imprevisti di domani. Un sistema ormai collaudato, ma funziona? A giudicare dai numeri, non così tanto: il 56% della popolazione si dice preoccupato dall’ipotesi di dover risarcire un danno di appena mille euro. Le soluzioni latitano: l’Italia si conferma un paese di risparmiatori poco assicurati. Al punto tale che nel portafoglio delle famiglie si contano più rischi che coperture. Se si escludono le polizze obbligatorie per gli autoveicoli, in Italia si contano appena 1,4 contratti assicurativi a persona. Pesa sicuramente la scaramanzia che ancora attanaglia il Paese degli scongiuri. Ma anche la mancanza di cultura finanziaria e la sostanziale incapacità di stimare i rischi. Eccezion fatta per furti e rapine in casa, tutti gli altri tipi di minacce risultano sottostimati. È così per gli incidenti automobilistici, lo è anche per infortuni e invalidità nella terza e quarta età. Insomma, difficilmente si provvede a far fronte a rischi che non vengono percepiti. E se anche le cose dovessero andar male, ci penserà la fortuna: a fronte della conclamata sottostima dei rischi, l’indagine ha rilevato una generalizzata tendenza a sovrastimare le possibilità di vincere alla lotteria.