Per i risk manager la diversity è un valore
L’attenzione verso il tema della presenza femminile nei ruoli dirigenziali delle imprese sta cambiando, ma la diversità di trattamento tra uomo e donna è ancora un dato di fatto: secondo quanto emerge dalla survey Gender Diversity & Risk Management, realizzata da Anra (l’associazione che raccoglie i risk manager e responsabili assicurazioni aziendali) presso i risk manager (uomini e donne) associati, il 28% degli intervistati afferma che non tutti all’interno dell’azienda si sentono a proprio agio con le donne in posizioni manageriali e il 38% riconosce l’esistenza di una disparità di trattamento ai fini della carriera professionale tra uomini con figli e donne con figli.
La disparità di genere è anche nel settore del rischio
Il tema è stato oggetto di confronto nel dibattito Il valore della diversity nel Risk Management, organizzato nel corso dei lavori del 18° convegno di Anra. I risultati della ricerca sono stati presentati da Valentina Paduano, Erm specialist di Prysmian Group, e da Alessandra Bossi, insurance manager di Siemens. I risultati confermano una disparità di trattamento professionale tra i sessi e un rapporto di collaborazione che non è ancora pienamente fluido; nello stesso tempo vengono riconosciute a maschi e femmine attitudini tendenzialmente differenti, che rappresentano però per i risk manager un valore all’interno del gruppo di lavoro: il campione di intervistati (composto per il 63% da uomini e per il 37% da donne tutti impiegati nel settore del rischio) riconosce una prevalenza femminile nell’area emotivo-cognitiva e maschile nell’area pragmatico-decisionale.
Dai dati presentati risulta chiaro che il 70% della popolazione aziendale femminile che si occupa di gestione del rischio si distribuisce su un inquadramento contrattuale medio-basso (impiegato 38%, quadro 32%), mentre il 51% della popolazione maschile si posiziona principalmente su livelli dirigenziali (24%) e di libero professionista (27%), una simile disparità di trattamento trova conferma nell’esistenza di un gap di genere anche nelle retribuzioni.
Diverso trattamento tra multinazionali e Pmi
I dati emersi sono stati commentati nel successivo dibattito, a cui hanno preso parte Rosangela Cesareo, autrice del blog Mammewonderwomen, Claudia Costa, corporate insurance manager e senior legal counsel del gruppo De’ Longhi e vicepresidente di Anra, Barbara Falcomer, direttore generale di Valore D, e Marina Salamon, presidente di Doxa.
Il dibattito si è incentrato sulla necessità della donna di far parte del mondo del lavoro pur mantenendo il proprio ruolo all’interno della famiglia, e sulla valorizzazione del ruolo femminile nelle imprese. Marina Salamon ha puntato il dito contro la cultura di genere che “è figlia delle influenze ambientali in cui le persone crescono, soprattutto famiglia e scuola. Per come sono cresciuta io”, ha raccontato Salamon, “faccio fatica a fare differenza tra ruoli maschili e femminili, e anche a pensare ad una donna che è entità diversa in famiglia rispetto a quando si trova sul luogo di lavoro”. Salamon ha poi introdotto il tema della struttura produttiva italiana come freno al riconoscimento femminile nelle imprese: “se in Italia l’introduzione delle donne in ruoli di responsabilità nelle aziende avviene lentamente è anche colpa di un capitalismo arretrato di tipo familista, nelle imprese multinazionali la situazione è differente”. Quest’ultima affermazione è stata condivisa da Claudia Costa: “In De’ Longhi la percentuale di presenza femminile è in crescita, anche perché l’approccio di una multinazionale alle competenze prima che al genere contribuisce a cambiare la percezione della diversità”. In questo senso, sostiene Costa, “una prescrizione normativa verso le cosiddette quote rosa può essere vissuta come un’imposizione ma è un correttivo necessario a instradare verso un cambiamento culturale, ponendo anche un termine temporale”.