Caos Brexit: proroga, no-deal o annullamento
Si esce, ma più tardi. Dal confuso caos chiamato Brexit, è emerso un elemento di novità: non sarà più il 29 marzo la data in cui il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea. Per lo meno, questo è ciò che ha chiesto la Camera dei Comuni, votando a larga maggioranza una mozione che chiede di spostare avanti il Brexit-day. Proroga sì, ma a quando? Questa resta una grande incognita. Il primo ministro Theresa May vuole chiedere un posticipo di qualche settimana, per evitare alla Gran Bretagna di dover partecipare alle elezioni europee di maggio; ma questo solo se il parlamento britannico entro il 20 marzo troverà un accordo E va da sé: l’unico accordo finora su tavolo è quello proposto dal primo ministro, già bocciato due volte dai parlamentari Uk.
Serve l’ok dall’Ue. E non è scontato che arrivi
In alternativa, la May ha paventato la possibilità di chiedere un rinvio più lungo, che gioco forza aprirebbe la strada a una serie di scenari non semplici da districare. Inoltre non va dimenticato che la richiesta di proroga deve ricevere il parere favorevole da parte di Bruxelles. La pazienza dell’Unione Europea è messa a dura prova da quel che accade a Londra. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha affermato che una proroga può essere concessa, lasciando però chiaramente intendere di sperare che la Brexit possa essere annullata. La decisione di Bruxelles verrà presa in un vertice convocato per il 21 e 22 marzo. L’Ue potrà concedere un posticipo solo con il voto unanime dei restanti Paesi membri. Il presidente francese Emmanuel Macron ha già avvertito che potrebbe bloccare la richiesta di proroga qualora da Londra non arrivassero segnali chiari in merito al piano che intende seguire dopo averla incassata. Altri Paesi europei (Germania in primis), invece, si son già espressi positivamente rispetto a una opzione di questo tipo che allontanerebbe, almeno nel breve periodo, lo spettro della hard Brexit. Sarà dunque fondamentale capire quale sarà la nuova scadenza di questa proroga. Difficile immaginare che Londra sarà in grado di sciogliere nel giro di qualche settimana (o mese) quei nodi che non è riuscita a sciogliere in quasi due anni, né tanto meno avrà il tempo di rinegoziare un nuovo tipo di accordo con Bruxelles.
Il quadro, come già accennato, si complica a causa delle elezioni europee di maggio. Nel caso di una lunga proroga, Londra dovrebbe andare alle urne per eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo i cui seggi tornerebbero a essere 751 (mentre al momento è previsto che vengano ridotti a 705 proprio per tenere conto dell’assenza di rappresentanti britannici). Tutto ciò a meno che Bruxelles non trovi un qualche escamotage giuridico per il quale Londra possa essere esentata dall’eleggere i suoi rappresentanti durante il periodo di proroga.
No deal, un salto nel buio
Se da Bruxelles dovesse arrivare una doccia fredda, il 29 marzo resterebbe la data prevista per la Brexit. E qui si aprirebbero due scenari possibili. Il primo, e più pericoloso, è quello del no deal, un’uscita del Regno Unito dall’Ue senza un accordo che stabilisca cosa succede dopo. Il 13 marzo il parlamento di Westminster ha approvato una mozione per escludere questa ipotesi, tuttavia tale mozione non ha alcun valore legale vincolante. In uno scenario no deal non ci sarebbe un periodo di transizione, né un backstop che risolva la questione dell’Irlanda del Nord, aprendo così la strada a una possibile recrudescenza tra gli unionisti e i nazionalisti irlandesi. Dal 29 marzo Londra sarebbe anche fuori dal mercato unico, pertanto si applicherebbero solo le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e tornerebbero i dazi e i controlli alla frontiera su molte merci, incluse quelle ad alta deperibilità, sia nel commercio con i 27 Paesi Ue che con tutti i paesi extra-Ue con cui l’Ue ha siglato accordi commerciali. Inoltre molte incognite graverebbero sul futuro dei 3,7 milioni di cittadini europei presenti in Gran Bretagna e sugli 1,2 milioni di britannici che vivono nell’Ue. Soprattutto negli ultimi mesi, la Commissione europea e i vari Paesi membri hanno presentato dei contingency plans, ovvero piani d’emergenza da implementare in vista di un no deal. Questi piani danno priorità a quelle questioni che toccano più direttamente i cittadini europei, come la loro mobilità, i servizi sociali e settori sensibili come quello dei servizi finanziari e dei trasporti (a partire da quello aereo), principalmente attraverso meccanismi di proroghe. Ma è la stessa Commissione Ue a riconoscere che questi piani non possono in alcun modo annullare gli effetti di una hard Brexit, soprattutto nel periodo immediatamente successivo.
No Brexit, no more
Evitare questa deriva è possibile qualora il Regno Unito decida di ritirare unilateralmente la notifica di Brexit prima del 29 marzo. L’uscita dall’Ue verrebbe di fatto annullata. Nei mesi scorsi la Corte di giustizia europea ha infatti colmato una lacuna dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, chiarendo che Londra può procedere al ritiro unilaterale. Questo avrebbe il vantaggio per il Regno Unito di non far dipendere la decisione finale dall’accettazione o meno da parte di Bruxelles (come nel caso della proroga). Tuttavia si tratterebbe di una decisione politicamente molto sensibile per Londra, perché equivarrebbe a sconfessare il risultato del referendum del 2016. In questo scenario, Theresa May non vedrebbe la propria leadership rimessa in discussione dai suoi stessi compagni di partito, perché le regole interne ai Tories stabiliscono che occorrono almeno 12 mesi prima che si possa muovere una nuova mozione di sfiducia alla premier (dopo quella da lei vinta lo scorso 16 gennaio). Ma il suo governo potrebbe comunque cadere e la stessa May potrebbe decidere di dimettersi autonomamente.
Secondo recenti sondaggi le spaccature all’interno dei Tories non hanno rafforzato a sufficienza il Labour: in caso di imminenti nuove elezioni politiche i due partiti potrebbero trovarsi testa a testa. Ciò darebbe luogo a un “Parlamento appeso”, in cui né i conservatori, né i laburisti disporrebbero da soli di una chiara maggioranza in caso di nuove elezioni politiche. Una situazione di incertezza che renderebbe ancore più complesso il percorso della Brexit.
Nell’ipotesi di ritiro da Brexit e di elezioni anticipate l’idea di un nuovo referendum non dovrebbe essere in teoria contemplata, dal momento che il 14 marzo la Camera dei Comuni ha bocciato a larghissima maggioranza (astenuti i labouristi di Jeremy Corbyn) tale ipotesi.