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Il Paese dello zero virgola

Si avvita pericolosamente la crescita dell’Italia. Il +0,1% del primo trimestre promette stagnazione a fine anno. Intanto la Commissione Europea ha chiesto una correzione dei conti pubblici che il governo non potrà ignorare. Bankitalia avverte: debito e deficit sono pericolosi

I problemi dell’Italia sembrano acuirsi. I numeri, ma anche il sentiment dentro e fuori dal Paese, disegnano una situazione precaria di cui è difficile delimitare i contorni netti. L’economia e la finanza pubblica restano i nodi intricatissimi: nel primo trimestre il Pil è aumentato solo dello 0,1% rispetto al trimestre precedente ed è diminuito dello 0,1% nei confronti del primo trimestre del 2018. L’Istat ha quindi tagliato le stime preliminari del 30 aprile che vedevano una variazione congiunturale di +0,2% e tendenziale di +0,1%, mentre la variazione acquisita per il 2019 risulta nulla. È vero che si continua a ripetere che i segnali di mini-ripresa ci saranno nel secondo semestre ma le cose sono sempre più complicate.


Una pezza da cinque miliardi di euro 

Soprattutto dopo che lo scorso 5 giugno la Commissione Europea ha raccomandato l’apertura di una procedura d’infrazione sul debito e sul deficit a carico dell’Italia. La scorsa settimana, l’organo europeo aveva chiesto spiegazioni al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, sui conti pubblici. L’Italia ha tempo fino al 9 luglio, cioè quando l’Ecofin si riunirà e analizzerà le carte italiane per capire se procedere o meno con la procedura, per dare indicazioni chiare su come intendere correggere la rotta: servono dai quattro ai cinque miliardi di euro per mettere una pezza. A settembre il governo vedeva un rassicurante 1,5% di crescita alla fine di quest’anno: è evidente quanto questo numero sia un miraggio da colpo di sole. La crescita europea sarà in media dell’1,2%, con il contributo italiano pari a 0. Il deficit italiano salirà al 2,5% quest’anno e al 3,5% l’anno prossimo, il debito fino al 135%.


Se l’avanzo primario non basta più 

L’allarme rosso è stato lanciato anche da Bankitalia, attraverso la relazione del governatore, Ignazio Visco: “l’elevato rapporto tra debito pubblico e Pil rimane un vincolo stringente; per allentarlo non si può ritardare nel definire una strategia rigorosa e credibile per la sua riduzione nel medio termine”, ha affermato il governatore. Rispetto all’Area Euro, il costo del debito italiano è più elevato e la crescita economica più bassa e quando il divario tra costo del debito e crescita economica è positivo, ha sottolineato Visco, “occorre un avanzo primario anche solo per stabilizzare il debito”. La questione dell’avanzo primario è centrale e per l’Italia è stato sempre il refugium peccatorum: alle contestazioni su un debito monstre, i governi nazionali hanno sempre risposto con l’arma dell’avanzo primario. Oggi, non si può più. La Banca d’Italia riprende le stime di maggio della Commissione Europea dalle quali l’Italia ha bisogno di un avanzo primario del 2% nel 2019 e 2020 solo per stabilizzare il debito alla luce di una crescita nominale stimata all’1,3% e di un onere medio del debito al 2,8%, con un differenziale, quindi, positivo per l’1,5%. Per tutti gli altri Paesi, la crescita nominale stimata risulta maggiore dell’onere medio del debito, il che consente di avere un disavanzo primario: persino alla Grecia.


No alle scorciatoie 

E poi c’è la questione dello spread che è tornato a correre e vola verso la soglia (psicologica?) dei 300 punti base. Il differenziale pesa non solo sui conti pubblici ma anche sul potenziale di fiducia di consumatori e imprese. Bankitalia calcola che già ora, senza tenere conto degli effetti negativi appena citati, i rendimenti delle obbligazioni pubbliche determineranno una riduzione del prodotto interno lordo dello 0,7% nell’arco di tre anni: una zavorra ulteriore per lo sviluppo italiano. Ecco perché ogni scorciatoia, a questo punto, appare impraticabile e controproducente. In poche parole, pensare a un’altra manovra in deficit sarebbe pericoloso. “Un sollievo congiunturale mediante l’aumento del disavanzo pubblico”, ha detto Visco, potrà determinare comunque un peggioramento delle condizioni finanziarie e della fiducia delle famiglie e delle imprese. L’espansione restrittiva, secondo Palazzo Koch, è un rischio da non sottovalutare, visto l’aumento del costo dei finanziamenti per lo Stato e per l’economia reale. “Per un aumento duraturo del tasso di crescita – ha consigliato il governatore – servono interventi profondi sulla composizione di spesa ed entrate. Uno spazio più ampio andrebbe destinato, più che a sussidi e trasferimenti, a programmi maggiormente in grado di stimolare l’attività economica”. Quale strada imboccherà l’esecutivo per togliere l’Italia dal pantano è ancora un dilemma.