Spending review: esiste un progetto?
La settimana decisiva per evitare all’Italia la procedura d’infrazione sui conti pubblici, proposta dalla Commissione Europea, si è aperta positivamente per il nostro Paese. Il consiglio dei ministri ha messo sul tavolo 7,6 miliardi, attraverso un “assestamento di bilancio” per 6,1 miliardi e un decreto legge che recupera le risorse non utilizzate per il reddito di cittadinanza e quota 100 (circa 1,5 miliardi). Ciò consente all’Italia di centrare il rapporto deficit/Pil al 2,04% dal 2,4% previsto dal Def. Tra le varie misure c’è lo sdoganamento di circa due miliardi di euro derivanti dai tagli ai ministeri e già previsti dalla legge di bilancio. Poi ci potranno essere risparmi sulle maggior entrate della fatturazione elettronica, sui dividendi delle partecipate e sull’extra-dividendo della Cassa depositi e prestiti (circa 800 milioni). Una domanda, però, resta senza risposta: è questo il massimo che si può sperare di ottenere dalla spending review?
Un progetto di legislatura
Il taglio della spesa pubblica è da molti anni un mantra di tutti i governi e, a parole, sono tutti d’accordo. Proprio in occasione dell’apertura della procedura d’infrazione, Confindustria si è espressa ampiamente sul tema, cercando di dare il proprio contributo attraverso uno studio che ha come base di partenza la consapevolezza che occorre avviare una “nuova revisione della spesa”, che inizi ora e “finisca con la legislatura” e che sia “estesa anche agli enti territoriali”. Gli industriali chiedono un approccio nuovo, generale e replicabile, “che modifichi radicalmente le modalità di definizione dei programmi di spesa pubblica e il loro monitoraggio”. Il senso è appunto costruire un meccanismo permanente, un processo di tipo aziendale che produca entrate sempre fresche e disponibili da reinvestire in progetti per la crescita e non solo per tappare i buchi di bilancio.
La riduzione della spesa a parità di servizi
L’industrializzazione della spending review richiederebbe un coordinamento, “una delivery unit cui riportano dei team specializzati”, con l’applicazione di prassi sempre uniformi e verificabili. Confindustria suggerisce anche un sistema d’incentivi ai singoli funzionari e alle singole amministrazioni coinvolte per superare le ataviche resistenze dei corpi intermedi. “L’attuale normativa – continua – è confusa e non organica perché prevede tre diverse forme di spending”, un sistema, in cui le “continue innovazioni non hanno dato stabilità al processo”. L’inutilità del modus operandi attuale e precedente è testimoniata dal bilancio delle esperienze passate, “che è negativo perché non sono riuscite a ridurre le risorse pubbliche a parità di servizi pubblici offerti, a ridefinire il perimetro dell’azione pubblica e neanche ad aumentare l’efficienza”. Insomma così la revisione della spesa non serve a niente e i fatti stanno lì a dimostrarlo.
Il peso enorme degli interessi sul debito
La spesa pubblica aggredibile, cioè quella che non riguarda pensioni, stipendi pubblici, interessi sul debito e investimento, ammonta a circa 290 miliardi di euro, dagli 850 miliardi totali, secondo i dati di Mef e Istat. Di queste voci, non comprimibili, ciò che pesa di più in proporzione sono gli interessi sul debito ma anche i pochi investimenti. L’Italia paga più interessi di tutti tra i Paesi dell’Eurozona sia in termini assoluti (65 miliardi nel 2018) sia in percentuale del Pil (3,7 per cento). Una cifra enorme: circa 35 miliardi più della Spagna, 34 più della Germania e quasi 25 più della Francia. Al contrario, tra il 2008 e il 2018 la spesa per investimenti è stata sempre inferiore alla media dell’Eurozona: il 2,5% del Pil contro una media del 2,9%. Sono 11 anni che il nostro Paese ha accumulato un gap di spesa per investimenti pari a 17,8 punti percentuali in meno.
L’obbligo strutturale di tagliare
Secondo Confindustria, proprio perché questi problemi sembrano difficili da risolvere nel breve periodo, occorre l’introduzione per legge “dell’obbligo di spending review di legislatura”, con obiettivi pluriennali per le amministrazioni centrali e decentrate: un processo di revisione della spesa che andrebbe inserito nella riforma della contabilità pubblica e incorporato nel processo di bilancio. Recentemente, i tagli affidati ai singoli ministeri, ricorda Confindustria, non hanno dato grossi frutti e sono stati effettuati tutti con sforbiciate lineari, senza un vero progetto alla base. Le altre revisioni del passato, come quella del commissario Enrico Bondi, nel 2012, o quella del 2017 affidata al deputato del Pd, Yoram Gutgeld, sono state più efficaci a livello quantitativo, ma altrettanto poco adeguate ed efficienti. Intanto il governo ha trovato i pochi miliardi di euro per tappare la falla: poi, si vedrà.