Greta Thunberg: un fenomeno comunicativo da approfondire
Di una ragazza di sedici anni di nome Greta Thunberg si parla ormai quotidianamente nei telegiornali, in famiglia, nelle scuole e persino nei Parlamenti di mezzo mondo. Qualunque cosa se ne pensi, dobbiamo riconoscere che da lei ci viene un monito che dovremmo accogliere: è ora che ognuno di noi, in quanto membro della specie biologica dominante, si metta sulle spalle una quota del futuro del pianeta. È questa la dimensione morale del fenomeno che Greta Thunberg rappresenta, ma non è l’unica. Il fenomeno comunicativo che vi è associato è interessante. Come i media ci hanno ampiamente informato, dopo aver iniziato quello che viene definito, un po’ impropriamente, uno sciopero climatico nel periodo 20 agosto-8 settembre del 2018, per qualche mese non è andata a scuola di venerdì sollecitando la mobilitazione di un numero crescente di studenti. È stata, poi, davvero molto rapidamente, invitata a parlare in molte sedi ufficiali e molte manifestazioni in vari Paesi si sono esplicitamente ispirate a lei. Greta Thunberg ha, così, parlato all’Onu in più occasioni, al forum finanziario mondiale di Davos e al Parlamento Europeo; è stata ricevuta da Papa Francesco e dall’ex Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e gira anche voce che verrà candidata al prossimo premio Nobel per la pace. È indubbiamente diventata un personaggio pubblico planetario.
Il piano economico e quello politico
Vi è, inoltre, un aspetto concernente la mobilitazione, soprattutto giovanile, in parte spontanea, in parte sollecitata dall’alto. Difficile ricordare uno sciopero nelle scuole italiane giustificato dal ministero della Pubblica istruzione: la mia generazione gli scioperi li ha sempre fatti contro il governo. Ma non si può neppure liquidare frettolosamente una partecipazione tanto diffusa e, probabilmente, tanto genuina. Sul piano economico, non può non rilevarsi la contemporaneità con la formazione del nuovo Parlamento e della Commissione europei ed è palese la diffusa prontezza nel cogliere l’opportunità di questa ondata ambientalista nell’opinione pubblica per richiedere interventi statali a favore di aziende (forse soprattutto automobilistiche tedesche). Sul piano politico più generale, poi, si può fare qualche altra considerazione. Visto il successo presso tante e tanto importanti autorità politiche, viene da chiedersi se davvero aspettassero l’arrivo di una ragazza di 16 anni per muoversi e, nel caso, andrebbe spiegato come mai. Certo, rischiamo il complottismo, che è una forma patologica di dissenso, ma neppure ci si può concedere l’ingenuità su un fenomeno che sarà usato per introdurre politiche che ricadranno, nel bene e nel male, su tutti noi.
Le evidenze, i documenti, la ricerca
Infine, non si può non considerare la questione di merito, il contenuto del fenomeno Greta. Bisogna dire che, all’osservatore esterno, il panorama delle scienze ambientali si mostra molto concorde su alcuni punti. Innanzi tutto, nel ritenere che la temperatura del pianeta si sia elevata tanto da indurre mutamenti climatici già oggi rilevanti e minacciosi di scenari futuri che, nelle proiezioni che possiamo farne, sono preoccupanti o, addirittura in alcuni casi, catastrofici. In secondo luogo, che questo innalzamento delle temperature sia causato dall’aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. Infine, ed è questo un punto particolarmente critico e sul quale forse qualche dissenso può riscontrarsi, questo aumento sia causato dall’attività umana (p.es. https://www.bloomberg.com/graphics/2015-whats-warming-the-world/).
Per altro, i documenti dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) sono caratterizzati, meritoriamente, da trasparenza circa robustezza delle evidenze e grado di consenso nella comunità scientifica coinvolta, qualità spesso trascurate; nondimeno, sarebbe opportuna maggiore trasparenza anche sulla valutazione della ricerca scientifica presa in considerazione e sui meccanismi di cooptazione degli esperti (https://ipccitalia.cmcc.it/ipcc-special-report-global-warming-of-1-5-c/).
Il clima è un oggetto complesso
Le voci che si sono raccolte attorno ad alcune iniziative comunicative di senso opposto (www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/mentre-greta-sbrocca-allonu-ascoltiamo-gli-scienziati-in-500-dicono-che-la-nostra-casa-non-e-in-fiamme/ ; www.opinione.it/cultura/2019/06/19/redazione_riscaldamento-globale-antropico-clima-inquinamento-uberto-crescenti-antonino-zichichi/) presentano voci di scienziati, anche di fama (ricordiamo il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia: https://www.youtube.com/watch?v=4_T1QNRtToc), ma non strettamente di climatologi (abbondano geofisici, sismologi ecc.). Il clima è oggetto complesso, del resto, destinato a sfuggire a discipline troppo ristrette e necessitante di molta ricerca ulteriore, come viene anche sottolineato da alcune voci che, fuori dai cori, ci sollecitano, comunque, a farci carico del problema (Franco Prodi: https://www.huffingtonpost.it/2019/03/15/franco-prodi-giusta-la-protesta-dei-ragazzi-ma-i-cambiamenti-del-clima-sono-ancora-tutti-da-decifrare_a_23693405/). In epoca di fake news non solo indotte da isolati personaggi, che un tempo avremmo definito mitomani e isolato piuttosto agevolmente, ma anche da fonti che vantano una qualche (auto?)legittimazione, i cittadini sono spesso davvero disorientati.
Il costo della libera scelta
Per averne un’idea, basterebbe ricordare come, negli ultimi anni, coloro che in Italia avessero voluto seguire molti dibattiti nell’opinione pubblica avrebbero dovuto diventare (almeno un po’) sismologi (si ricordi il terremoto dell’Aquila del 2008 e il processo che ne è seguito su prevedibilità o meno dei terremoti e sulla comunicazione della in/certezza delle previsioni scientifiche), economisti (neoliberismo e autorità monetaria in relazione agli effetti dell’introduzione dell’euro sulla vita e dell’adozione di parametri econometrici per orientare le politiche dei governi nazionali, quanto meno dal 2015), costituzionalisti (un referendum costituzionale ci ha chiamati al voto il 4 dicembre 2016), epidemiologi (la questione della opportunità o meno dell’estensione dell’obbligo vaccinale nel 2017), esperti in geopolitiche e gestione dei flussi migratori (2018), fitopatologi (Xylella in Puglia tuttora) e, appunto, climatologi. Complessivamente, e anche considerando il costo di tempo e attenzione (e stress), dovremmo rallegrarci di essere chiamati a farci un’opinione nostra su questioni di valenza pubblica tanto complesse e magari a esprimerla anche pubblicamente. Magari pretendendo maggiore apertura dei mass media a voci contrastanti nel panorama scientifico e maggiore informazione sui processi di costruzione della stessa conoscenza scientifica. Questo che, comunque, dobbiamo pagare è il costo per essere liberi in una società democratica basata sulla scienza.