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Allarme pensioni: ore di lavoro in calo

Dal 2008 al 2018, secondo la fondazione studi dei consulenti del lavoro, si sono perse in Italia oltre due miliardi di ore di lavoro: la contrazione si ripercuote anche sulle retribuzioni e, di conseguenza, sull’entità dei futuri assegni previdenziali

Dal 2008 al 2018, nonostante un aumento del tasso di occupazione dello 0,5%, si sono perse in Italia oltre due miliardi di ore di lavoro: il monte ore medio annuo per ogni lavoratore è passato in dieci anni da 1.806 a 1.722, registrando una perdita del 4,6%. Ciò si è riflesso sulle retribuzioni e, di conseguenza, avrà ripercussioni anche sull’entità degli assegni previdenziali di chi andrà in pensione nei prossimi anni: in sostanza, in futuro l’Italia rischia di dover far fronte a pensioni da fame.
L’allarme arriva dal rapporto Verso la riforma previdenziale. Alcuni spunti di riflessione, redatto dalla fondazione studi dei consulenti del lavoro. La situazione diventerà estremamente critica a partire dal 2036, ossia da quando le pensioni saranno calcolate in misura preponderante o esclusiva con il sistema contributivo e, pertanto, l’entità dell’assegno previdenziale si baserà sugli accantonamenti che i cittadini saranno stati in grado di realizzare negli anni di lavoro. Ecco perché la perdita di ore di lavoro costituisce un campanello di allarme per l’adeguatezza dei futuri assegni previdenziali.
La questione del lavoro resta un nodo irrisolto per il sistema economico italiano. L’Unione Europea aveva fissato per il 2020 un target di occupazione del 75% per la popolazione di età compresa fra 20 e 64 anni: in Italia si è rimasti fermi al 63%, staccati di dieci punti percentuali rispetto a una media europea che è riuscita a raggiungere il 73%. Particolarmente allarmante è poi il dato dei giovani, ossia di coloro che andranno in pensione con un sistema contributivo e, di conseguenza, hanno necessità di lavorare in maniera continuativa per garantirsi un reddito dignitoso anche per gli anni della pensione: nell’ultimo decennio il tasso di occupazione di chi ha fra 15 e 24 anni è passato dal 24,2% al 17,7%, allargando sempre più la forbice con una media europea attestatasi al 35,3%.
Resta poi particolarmente sfavorevole l’andamento demografico. Attualmente in Italia il rapporto fra attivi e pensionati raggiunge quota 1,45, prossimo a quel 1,5 che viene considerato un efficiente punto di equilibrio per la sostenibilità a lungo termine di qualsiasi sistema previdenziale. Tale equilibrio, stretto fra allungamento della speranza di vita e calo della natalità, pare tuttavia destinato a un rapido tramonto. Nel 2050, secondo la ricerca Working better with age dell’Ocse, citata nelle pagine del rapporto, in Italia il numero dei pensionati potrà superare quello dei lavoratori. Se così fosse, si avvererebbero anche le ipotesi formulate dal Working group on ageing della Unione europea e del Fmi, secondo cui bassa crescita e declino demografico potrebbero mettere in crisi non solo l’assetto previdenziale, ma l’intero assetto di welfare italiano.
“È quanto mai necessario, soprattutto fra le nuove generazioni, sensibilizzare i lavoratori italiani a una adeguata gestione del Tfr e, più in generale, all’investimento in previdenza complementare per garantirsi un reddito adeguato nella vecchiaia”, ha concluso in una nota Marina Calderone, presidente del consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro.