Intelligenza… artificiale e umana
Sono questi anni in cui il mondo che ci circonda si è riempito di dati. E l’intelligenza artificiale si presenta come una soluzione appetibile, per efficacia computazionale ed economicità in molti campi: nel marketing aziendale, nella diagnosi medica, nella mobilità a guida autonoma, ecc. Ma riflettiamo bene sui dati e su come operarci, poiché oggi i problemi che si aprono riguardano, direttamente o indirettamente, tutti noi. A dispetto del nome, mi si conceda la battuta, i “dati” non sono affatto dati, in arrivo da un “fuori”, piuttosto siamo noi o comunque qualcuno da un “dentro”, a volte opaco, a produrli, a volte inconsapevolmente) attraverso il ricorso a strumenti (o algoritmi) che diventano sempre più complessi e tendono a sfuggire alla piena trasparenza anche per gli esperti. Un primo problema che, dunque, si pone è come essi vengano prodotti, quale siano i protocolli previsti dai progettisti, come le cose vadano avanti effettivamente e dove vadano a finire, chi vi abbia accesso, per farne cosa ecc.
Inoltre, i dati, comunque ottenuti, non sono di per sé evidenza di alcunché: essi, infatti, contrariamente a un pensiero comune, “non parlano da soli”. Un secondo problema, nuovo, nella nostra epoca ricca anche di controversie scientifiche, perciò, è come vengano assegnati i significati ai dati e il ruolo decisivo di evidenza assegnato ad alcuni di essi e non ad altri. Che sia una persona o una macchina il problema rimane.
Far parlare i dati
Dati i dati, evidenziate le evidenze, rimangono poi da effettuare opportune ricostruzioni, ovvero elaborare ipotesi interpretative, narrazioni, argomentazioni ecc., e qui l’ambito di variabilità è ancora più ampio. Che cosa è successo o sta per succedere, per esempio, quando otteniamo un certo dato?
Mettiamoci, per fare un esempio concreto, nei panni di un investigatore giunto sulla scena di un crimine. Egli procederà alla raccolta dei dati disponibili, comunque essi vengano acquisiti, p.es. anche facendo ricorso a test diagnostici codificati in qualche modo, registrazioni o tecniche di rilevamento asseverate da qualche Ente o agenzia. Egli dovrà, quindi, assegnare delle rilevanze, perché alcuni dati avranno maggiori affidabilità di altri, o più elevati gradi di significatività, a suo giudizio, nel caso specifico. Sarà poi il caso di elaborare una serie di ipotesi investigative; ma sarebbe illusorio pensare che sin dall’inizio non siano già stati impiegati dei criteri che l’investigatore avrà acquisito nel corso della sua formazione (a cosa servirebbe, altrimenti, un percorso formativo?) e anche nella sua esperienza professionale (l’expertise qualifica differentemente gli stessi esperti del medesimo ramo). Inoltre, non tutti gli investigatori hanno il medesimo stile, poiché hanno differenti tratti personali, culturali, generazionali e neppure si trovano sempre nelle medesime situazioni, incontrando differenti contingenze e pressioni esterne. Ogni investigatore lo è a modo suo: Poirot non è Sherlock Holmes che non è Nero Wolfe né Maigret né Montalbano. Anche ogni caso è, a guardare abbastanza a fondo, sempre un caso a parte. Ricordando un bel saggio di Popper, perfino un orologio preciso e regolare, a guardarci dentro fino in fondo agli atomi, non è altro che una nuvola molto complessa, poco prevedibile e quasi evanescente.
Ecco che, dunque, le ricostruzioni sono solo alcune di quelle che potrebbero essere astrattamente…. ricostruite. Se poi vogliamo individuare delle regolarità entro le quali inserire il caso in esame o, addirittura, formulare delle regole generali di comportamento in determinate situazioni, siamo a questioni ancor più complesse, di cui anche la storia della scienza è buona testimone. Né i controlli che si possono realizzare come si sa dall’epistemologia di oltre un secolo, sono mai risolutivi: non esiste mai un esperimento cruciale capace di dirimere ogni dubbio su una nostra ricostruzione o ipotesi che sia.
Il mito dell’oggettività
In breve, non ci si illuda di tenere l’intervento di una qualche “soggettività”, diretta o indiretta, fuori dalla porta, nemmeno nel caso di una macchina, che pure qualche umano avrà inizialmente progettato e che, in un futuro, svilupperà magari stili “soggettivi”. L’oggettività è un mito idealistico nel mondo concreto in cui viviamo: è una illusione che, comprensibile data una moda dominante, può costare cara al genere umano.
Insomma, i dati sono e sempre più saranno importanti nella nostra vita e l’intelligenza artificiale sarà sempre di più un ausilio utilissimo, e in molti casi diverrà insostituibile. Ma non potremo mai abdicare alla nostra responsabilità di esseri umani. Anzi, dovremo essere più intelligenti, sia delle nostre macchine, cui manca oggi totalmente sia la nostra evoluzione sia la nostra storia, sia di quanto siamo noi stessi.