Nagorno-Karabakh, una miccia accesa sulle rotte dell’energia
In Nagorno Karabakh, enclave abitata da popolazione armena nel territorio dell’Azerbaijan, sono tornate a farsi sentire le armi in quello che è un conflitto che va avanti a intermittenza dal 1988. L’Unione Sovietica non era ancora caduta quando sono iniziati i primi episodi ostili tra armeni e azeri, ma la vera e propria escalation, sfociata nella guerra, si è avuta dopo il 6 gennaio 1992, quando l’enclave si è ufficialmente auto-proclamata repubblica e l’Azerbaijan rispose bombardando la regione. Nel 1994 il Gruppo di Minsk dell’Osce (formato da Francia, Usa e Russia) è riuscito nel 1994 a imporre un cessate il fuoco tra le parti, ma un accordo di pace non è mai stato firmato. Migliaia di persone sono state uccise da entrambe le parti. Centinaia di migliaia sono state sfollate.
Uno snodo strategico per i gasdotti
Il Nagorno-Karabakh nel frattempo si è consolidato come repubblica de facto ma non riconosciuta dalla comunità internazionale. La regione è ricca di risorse petrolifere, e si trova in prossimità del passaggio di importanti gasdotti transnazionali, una via di transito fondamentale per l'energia che dal Caspio viaggia verso l'Europa attraverso l'Azerbaigian, la Georgia e la Turchia.
Scaramucce e scontri tra azeri e armeni non si sono mai fermati del tutto, ma il 27 settembre scorso sono riesplosi con particolare violenza, e i morti si contano già a centinaia (tra i feriti figurano anche due giornalisti francesi del quotidiano Le Monde). A essere stato preso di mira è soprattutto il territorio di Stepanakert, la principale città del Nagorno Karabakh, bombardata dalle forze azere.
Ancora contrapposizione tra Russia e Turchia
In questo contesto si rischia una nuova guerra per procura, con l’inserimento nel conflitto delle due potenze regionali, la Russia a sostegno dell’Armenia, e la Turchia a favore dell’Azerbaijan. Una contrapposizione, quella tra Mosca e Ankara, che si è già vista sul campo nei conflitti in Siria e soprattutto in Libia, dove Turchia e Russia sembrano avere tutte le intenzioni di spartirsi il Paese, con buona pace dell’Unione Europea e degli Usa. La Turchia ha sempre sostenuto l'Azerbaigian, e ha recentemente intensificato il suo coinvolgimento nella regione sotto forma di esercitazioni congiunte. La Russia invece, pur avendo una posizione più equivoca (in passato ha armato entrambe le parti) fa parte di un’alleanza formale con l'Armenia chiamata Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto), ma l'intesa non si estende al Nagorno-Karabakh.
I presidenti dei tre Paesi del Gruppo di Minsk, Emmanuel Macron, Donald Trump e Vladimir Putin, hanno esortato Armenia e Azerbaijan a una ripresa dei negoziati “in buona fede e senza precondizioni”, ma il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha definito “inaccettabile” il coinvolgimento di Stati Uniti, Francia e Russia che, ha detto Erdogan “hanno ignorato il problema per quasi 30 anni, non è accettabile che siano coinvolti nella ricerca di un cessate il fuoco”. Sul fronte opposto, la Russia si è detta preoccupata per l’invio nella regione di mercenari siriani e libici (fatto però smentito dalla Turchia): il ministero degli Esteri russo ha invitato i Paesi coinvolti a impedire l’uso di “terroristi e mercenari stranieri” nel conflitto.
Al momento l’Armenia ha detto di essere pronta a negoziare un cessate il fuoco nel Nagorno Karabakh con la mediazione dei Paesi del Gruppo di Minsk. In un comunicato del ministero degli Esteri di Erevan, gli armeni dicono di aver accolto con favore “il fatto che i leader dei Paesi del Gruppo di Minsk dell’Osce abbiano fermamente condannato l'uso della forza nella zona di conflitto in Nagorno Karabakh. L’Armenia sottolinea di essere disposta a lavorare con il Gruppo di Minsk per un cessate il fuoco sulla base degli accordi del 1994-1995, ma “continuerà a respingere con decisione l'aggressione dell'Azerbaigian”.